Un romanzo sull’intelligenza artificiale sullo sfondo della Brexit potrebbe apparire sin troppo furbamente intinto nell’attualità. Ma Ian McEwan sa sempre come sparigliare le carte e sposta il tema di oltre 35 anni indietro, in un immaginario 1982 nel quale la Gran Bretagna ha perso la guerra della Falkland e Turing non si è suicidato nel 1954 ma lavora attivamente nel mondo dell’intelligenza artificiale, e l’ha condotta a un livello assai superiore alla vita, al confronto grama, che menano gli algoritmi di oggi. Tra i prodotti più evoluti immessi sul mercato, pochi robot così umanizzati da superare il test di Turing, uno lo ha acquistato il trader Charlie, anche per far colpo sulla vicina del piano di sopra, Miranda. A questo automa, Adam, Charlie e Miranda infondono ciascuno tratti della sua personalità. Adam diventa il loro alleato e antagonista: nella vita quotidiana, nel menage sentimentale e in un paio di eventi mica da poco, un tizio che si è fatto parecchi anni di carcere per una denuncia di stupro da parte di Miranda e sta per uscire- pare con propositi di vendetta- e un bambino di quattro anni che li punta come adottanti. Essere umano troppo umano è un problema serio per un robot che con esagerato rigore maneggia le emozioni o la nozione di verità e, come lo stesso Turing, spiega a Charlie, è destinato all’infelicità. McEwan stilisticamente è in grande spolvero, strappa molte risate, è roboticamente cinico e trova chiavi psicologiche molto raffinate per non cadere nei discorsi convenzionali. Viene persino il sospetto che l’abbia scritto almeno in parte una quindicina di anni fa, e che questo gli abbia reso più naturale il gioco della sovrapposizione cronologica.
Macchine come me
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