Non è facile spiegare la motivazione della vittoria di questo libro al National Book Award 2021 nella categoria dei libri tradotti. Con questo intendo dire che la giuria ne ha offerta una esageratamente stringata e insoddisfacente, e anche che questo romanzo non ha nulla di mainstream, né nei temi né nello stile. In verità non è neppure tanto facile spiegarlo, nonostante sia di un nitore cristallino. Ci troviamo nella località balneare coreana di Sokcho, di fronte alla costa della Corea del Nord, e la voce narrante, una giovane donna franco-coreana (come l’autrice), nonostante la sua qualificata istruzione, ha accettato di rimanere nella città natia a lavorare in una pensioncina, per stare vicino alla madre. Un giorno arriva dalla Normandia uno scrittore di graphic novel per trarre ispirazione e disegnare il nuovo libro. Succedono eventi sconvolgenti? No. Veniamo proiettati nella divisione della Corea o nella sua storia? Neppure. Si accendono scintille nell’incontro di culture lontane? Questo suggeriscono le note di accompagnamento ma a me non pare. Per venire a capo di questa micro-recensione ricorro a due citazioni del testo. La protagonista, rivolta allo scrittore: “Le vostre spiagge la guerra l’hanno vista, ne portano le tracce, ma la vita continua. Le spiagge di qui invece aspettano la fine di una guerra che dura da talmente tanto tempo che si finisce per credere che non ci sia più, si costruiscono degli alberghi, si mettono delle ghirlande ma è tutto falso, è come una corda tesa fra due scogliere su cui camminiamo come dei funamboli, senza sapere quando cederà, viviamo in un mondo di mezzo, e quest’inverno che non finisce”. E ancora lei, questa volta una domanda: “Come fa a sapere quando finisce una storia?” ricevendo la risposta: “Il mio protagonista ha raggiunto lo stadio in cui posso dire che viveva prima di me e vivrà dopo di me”. Ecco, questo romanzo ci presenta due personaggi che in qualche forma, non del tutto definibile secondo i canoni ordinari, si attraggono ma che si attestano, come fossero in attesa, sopra una terra di mezzo, in attesa che una storia cominci (quella che deve scrivere il disegnatore o la loro?) o forse che finisca. Il breve romanzo procede mediante brevi, a volte brevissimi, capitoli, quasi fossero vignette, e descrive con una grazia e uno stile sublimi quella delicata e pudica tensione dell’irrisolto e dell’incompreso, che sembra condizionare pure l’avanzamento della fiction da disegnare, come se si trattasse della stessa cosa. L’autrice, Elisa Shua Dusapin, è del 1992 e che a quell’età possieda già una tale sensibilità delle sfumature e conoscenza dei piccoli gesti e del loro significato interiore è sbalorditivo, e incantevole come questa piccola perla che ha concepito.
Elisa Shua Dusapin
Inverno a Sokcho
Traduzione di Giovanna Albonico
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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