Il romanzo di Jesmyn Ward, “Salvare le ossa” viene presentato come la cronaca di dodici giorni incentrata sull’arrivo dell’uragano Katrina da parte di una famiglia del Mississipi che vive in condizioni miserabili dentro, e più spesso fuori, una baracca in un avvallamento nei boschi (chiamato “la Fossa”), in mezzo a fango e rottami. Ma, contrariamente alle attese (e a quel che si può leggere nelle recensioni), non si tratta di uno di quelli che, sul modello paradigmatico del Deserto dei Tartari, potremmo definire romanzi dell’attesa, nei quali la narrazione e il tempo si congelano intorno a un evento sopravveniente o un nemico invisibile. In realtà la famiglia in questione, al pari dei pochi altri personaggi, salvo il padre che però è parecchio schizzato, vive le giornate fottendosene dell’imminente tempesta. Se proprio vogliamo dirla tutta (ed è obbligo deontologico farlo, visto che pure nelle recensioni è un segreto custodito gelosamente) per due terzi il romanzo ruota intorno a un pit bull da combattimento, China, e al rapporto morboso e sado-masochistico (certo compensativo, per via della morte della madre qualche anno prima) che uno dei fratelli intrattiene con la cagna; con qualche incursione sull’inattesa e nascosta gravidanza di Esch, la quindicenne che è anche io narrante. I tre (China, Skeet, Esch) sono le figure forti e credibili del romanzo, che per marcarle sacrifica una decente quadratura psicologica degli altri, padre compreso. L’uragano, nella storia, non è ciò che si attenda ma ciò che arriva: parzialmente ricompattante e dunque catartico. Il romanzo non è perfetto, ed anzi francamente sconsigliabile per chi prova fastidio a leggere le descrizioni di cani che si sbudellano, però ha un paio di qualità incantevoli che quasi lo impongono agli appassionati della bella scrittura. Una è la maestria nella dilatazione e nell’accelerazione del tempo narrativo rispetto al tempo reale. La Ward se la può permettere (specie la dilatazione) per la capacità di accostare l’una dopo l’altra, senza mai eccedere nella secchezza della punteggiatura, frasi composite, oscillanti tra la narrazione al presente, il flash-back, l’allegoria, la digressione di indugio paesaggistico: componendo insiemi coerenti e profondi di senso. Anche l’uso delle formule ripetitive è straordinario. Come nel romanzo americano che ho precedentemente consigliato, il minimalismo è un ricordo pallido, nel plot come nel linguaggio.
Jesmyn ward
Salvare le ossa
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