La vita come teoria e come prassi. Nel quotidiano Krys Lee, divisa tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud, dove è nata, organizza assistenza per i rifugiati nordcoreani. In questo avvincente romanzo ce li rende chiari e vivi descrivendo un’orribile zona di confine, quella tra la Corea del Nord e la Cina, nella quale i fuggiaschi che cercano di approdare all’altra parte del paese continuano a subire angherie e soprusi. L’io narrante si sposta fra tre giovani protagonisti: due provenienti dalla Corea (il figlio di un generale caduto in disgrazia con il Grande Leader e una disperata ragazza incinta) e un americano di seconda generazione che non tollera più la sua emarginazione e vuole riapprovare alla sua terra. Il personaggio più riuscito però è un missionario che prima promette la salvezza ai fuggitivi e poi pretende di inchiodarli penitenzialmente allo studio mnemonico della Bibbia e alla sua psiche disturbata di salvatore. La lingua è notevole ma un difetto c’è: i tre personaggi hanno la stessa voce. D’altronde fece lo stesso anche Yehoshua nel romanzo “L’amante”, che era già un capolavoro, per poi pubblicamente emendarsi nel “Divorzio tardivo” e attribuire a ogni io narrante la sua cifra linguistica personale, sul modello di William Faulkner in “Mentre morivo”. Ci sarà tempo anche per Krys Lee, al suo primo romanzo. Codice edizioni, che già sforna una saggistica tra le migliori d’Italia, pesca ormai con grande perizia nel mercato della narrativa straniera.
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