Non è un personaggio che possa essere tacciato di oscurantismo digitale. Jerry Kaplan è stato un pioniere della Silicon Valley e padroneggia perfettamente la materia dell’intelligenza artificiale. E’ convinto, tanto per dire, che le auto senza pilota diventeranno le migliori amiche dell’uomo. Però mette il dito nella piaga: se l’agricoltura fosse stata automatizzata in cinque anni invece che in cento, milioni di persone sarebbero morte di fame. Ed è quello che rischia di accadere oggi, con la rivoluzione digitale che sottrae posti di lavoro senza che i disoccupati abbiano tempo per crearsi una nuova istruzione. Kaplan fa proposte concrete sulla questione, in mezzo a discorsi intelligenti e qualche sassolino tolto dalla scarpa (è palese un certo rancore personale verso Jeff Bezos e il tentativo di motivarci ad andare sotto la sede di Amazon con i forconi): è una voce umana che parla con la giusta ripartizione di simpatia tra gli uomini e gli “intelletti sintetici”. Chissà se il robot che fra una decina d’anni scriverà nella stessa collana sarà altrettanto equilibrato.
Jerry Kaplan
Le persone non servono
Già oggi un robot, nemmeno tanto evoluto, potrebbe scrivere cose più equilibrate.
Kaplan spiega molto bene gli effetti della rapida evoluzione e diffusione dell’intelligenza artificiale e dei robot. Sono illuminanti le analisi economiche, finanziarie, tecnico-ingegneristico-informatiche e del mondo del lavoro. Ma quando parla di educazione, musica, medicina, riscaldamento climatico, motivazione, dignità farebbe meglio a documentarsi di più; per esempio leggendo qualche ricerca di neuroscienze cognitive e pedagogia capirebbe l’importanza di fare calcoli a mente e scrivere con le mani anche se i computer lo fanno meglio. i bambini che usano meno gli strumenti digitali non solo vanno meglio a scuola (ma non sembra sia importante per Kaplan) ma saranno i migliori e più creativi programmatori di computer (M. Spietzer, Demenza digitale).
Anche quando parla di questioni sociali importantissime come la distribuzione del reddito è bravissimo coi numeri e le statistiche (molto importanti) ma sembra che tralasci o sottovaluti l’aspetto umano. Non sono solo le parole e il linguaggio che cambiano con l’evoluzione della tecnologia. Cambiamo noi, la nostra mente e la nostra cultura. Ma il nostro dna rimane lo stesso, legato alle emozione, al contatto delle mani con la terra, all’empatia nel contatto diretto con una persona,al lavoro fisico e a camminare su un prato e non sopra un robot che ti dice cosa fare.