Il mago di Colm Toibin

La tipica domanda rivolta a uno scrittore, riguardo ai suoi libri è: ma si tratta di una storia autobiografica? E la risposta canonica è che qualsiasi romanzo, anche quelli ambientati secoli addietro, contiene un pezzo di vissuto dell’autore, al minimo trasfigurato, e quindi l’autobiografia è una questione di gradazioni. Rimane una differenza tra saper mettere la vita propria al servizio di una storia di un ipotetico altro e fare il contrario, prendere a pretesto un romanzo per elevare (o declassare?) la propria diaristica a prodotto di commercio con l’autofiction pura. Più che una differenza è un confine abissale, e non abbiamo dubbi a dire da quale parte si collochi Thomas Mann: ciononostante, la quantità di dettagli della sua vita traslati con il minimo sindacale di variazioni nell’intera sua opera, a cominciare da I Buddenbrook, è impressionante e ne fa quasi il rappresentante di un tertium genus, per quanto l’opera si sia meravigliosamente universalizzata a partire da una puntale annotazione delle proprie esperienze, meglio della loro interiorizzazione, e della necessità di esprimerle. Il mago di Colm Toibin restituisce questa caratteristica come in una biografia, ma rimane un romanzo a tutto tondo, abilmente scritto in uno stile che ricorda quello di Mann e ne è sideralmente lontano perché privo di quel sottofondo allegorico che cesellava ogni singola scena descritta (e che era una prova della capacità rielaborativa di Mann rispetto alle esperienze personali). Non sarebbe un libro seriamente biografico se non mettesse al centro delle idee di scrittura di Mann l’ossessione sessuale e la celata omosessualità che i suoi diari rivelarono sconfinante nella pedofilia più sconvolgente (rivolta persino al figlio), benché circoscritta più al desiderio insoddisfatto o sublimato che all’azione: e tuttavia Toibin ha il merito di non affondare sul punto sino alla morbosità. Fa del resto già abbastanza per “umanizzare” in senso crudo lo scrittore, resocontando la sua sostanziale pavidità nell’opposizione al nazismo, nonostante venisse esibito negli Stati Uniti come un esule scomodo per il regime, la sua interiore severità rasentante (o anche oltre) la freddezza versoi i sei figli, certi profili di opportunismo o disempatia. Ben racconta anche il comprensibile rammarico per essere considerato un uomo intellettualmente superato sin dalla fase che teoricamente consisteva nel suo apice: è difficile immaginare che la vittoria in un Premio Nobel possa offrire tanta poca soddisfazione presso i contemporanei, compresi i colleghi (perlomeno diventa un lasciapassare pe restare in vita). Toibin ha la capacità di costruire con molta efficacia tutti i membri della famiglia Mann (splendida la figura complice e sottilmente matriarcale della moglie). Un gran romanzo che si apprezza di più se si conosce a menadito la storia e la cultura dell’epoca. Un difetto nel libro di Toibin è che lo sforzo di restituire il “tipo umano” che è alle fonti della scrittura occulta un po’ i contenuti spirituali dell’opera letteraria. Per considerarlo un capolavoro è il passo che manca. Ma d’altronde lui non è Thomas Mann.

Colm Toibin

Il mago

Traduzione di Giovanna Granato

Einaudi