Uno scrittore di talento ma di insuccesso decide di scrivere un romanzo autobiografico fondato sul suo faticoso rapporto con i genitori scomparsi e dei quali è a disagio nell’elaborare il lutto. Il romanzo diventa un successo mondiale. E’ la trama? No, è quel che è accaduto a Manuel Vilas, con il suo “In tutto c’è stata bellezza”. Se è del tutto sincero, Vilas non è tanto in quadra. Il culto della memoria è una cosa e l’attaccamento morboso un’altra. Ma è come se avessero preso Henry Miller e gli avessero detto: lascia perdere i locali parigini, ricordati che tenevi famiglia e non dire parolacce; e al tempo stesso avessero raccolto i taccuini di Cioran in una giornata in cui voleva fare il buontempone, e miscelato il tutto. La categoria romanzo passa per l’ennesimo contorsionismo autobiografico ma non sono tanti i libri di qualsiasi genere, saggi inclusi, che riescono a ritrarre con una simile facilità di pennellata i costumi di un paese in epoche diverse. Nonostante le premesse non è affatto un romanzo ripiegato sul sé, l’esito stilistico è formidabile, l’ironia e il lirismo si sposano senza alcuna frizione. Ho fatto passare qualche anno prima di leggerlo, e potevo risparmiarmi l’attesa. Adesso, però: uno scrittore di talento ma di insuccesso decide di scrivere un romanzo autobiografico fondato sul suo faticoso rapporto con i genitori scomparsi e dei quali è a disagio nell’elaborare il lutto. Il romanzo diventa un successo mondiale. E’ la realtà? No, è la trama- o almeno il contesto di partenza- dell’appena uscito seguito “La gioia all’improvviso”. E qui mi viene da frenare, perché fare di se stesso perpetuamente un libro mi sembra un atto di pigrizia. Però, se è bello anche solo la metà di questo…
Manuel Vilas
In tutto c’è stata bellezza
Traduzione di bruno Arpaia
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