Non avete mai visto un okapi? Lo credo bene, se non siete mai stati mai nel Congo, l’unico posto dove è possibile incrociare questo elegante parente della giraffa. Non lo avete mai sognato? Tanto meglio, a giudicare dall’esperienza di Selma, una signora di una certa età che vive in un paesino del verde Westerwald: ogni volta che lo sogna muore qualcuno in paese. Le persone corrono a depositare nelle cassette lettere d’addio e confessioni, infarcite di mai e di sempre, che si precipiteranno a ritirare dal postino se l’evento non si verificasse. Chi la sua lettera di confessione la compila ogni giorno è l’ottico del paese, innamorato di Selma da un’eternità, senza mai avere il coraggio di consegnarle e neppure di completarle, ma intanto le custodisce e lo sviluppo finale di quel climax sarà una scena degna di Garcia Marquez. In effetti questo romanzo che ha spopolato nelle librerie tedesche è un gioiellino di realismo magico, dove la magia non risiede in accadimenti soprannaturali ma nella straordinaria selezione di eventi e pensieri border line che Mariana Leky mette sulle spalle di ognuno dei pochi, ma significativi personaggi che animano questo poeticissimo testo. L’io narrante onnisciente è la nipote di Luise che dipinge questa comunità di adulti che si trattano come bambini nelle manifestazioni di affetto e di rancore e che combattano con la quotidiana fatica di scansare consapevolezze decisive, che prima o poi riusciranno a fare breccia e “faranno entrare un po’ di mondo” nei loro recinti claustrofobici (esortazione che il figlio di Selma, quando non è in giro per il mondo, rivolge a sua madre). L’unico filo così così è la storia d’amore tra Luise e un improbabile monaco buddista, ma non è che pesi poi tanto nell’economia fiabesca di una narrazione che diverte e commuove molto teneramente.
Mariana Leky
Quel che si vede da qui
Traduzione di Scilla Forti
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