Dai e dai deve confessarlo, anche se aspetta pagina 202. Tu sei arrivato fin lì e vorresti chiedergli: ma cosa ti sei messo in testa? Pensi di essere Proust? Perché quello è l’andamento e il registro de La traversata, e alla pagina famigerata leggiamo: “Non cito Proust per caso: Alla ricerca del tempo perduto mi ha seguito di camera in camera e ne ho tratto in continuazione di che meditare e di che ridere sulla mia condizione”. Philippe Lancon è un giornalista di Liberation e Charlie Hebdo, scampato alla strage in redazione del 7 gennaio 2015, che può adesso domandarsi, nel ricordare il momento dell’irruzione “Quanto tempo ci vuole a sentire che la morte sta arrivando se uno non se la aspetta? A essere sorpassata dall’evento non è solo l’immaginazione, ma le sensazioni stesse”; tutto era accaduto in una velocità eternizzata e lui sperimentava la frattura dentro se stesso e, ascoltava “l’uomo di prima, quello che già era quasi e che restava incollato al pavimento…Eravamo in due, io e lui, per la precisione lui sotto di me e io che levitavo al di sopra “. Per tre quarti e oltre, il libro è formalmente il racconto del suo percorso di riabilitazione chirurgica (il cui punto nevralgico è la ricostruzione della bocca); in realtà è lo sforzo titanico di ricomporre un nesso tra il senso e la realtà, e di risanare la memoria attraverso l’immaginazione- in questo in fondo sta lo scostamento dal canone proustiano, che puntava a risanare l’immaginazione attraverso la memoria. Ci vuole tempo per completare il trasferimento dell’attenzione dal dettaglio della carne lesa all’abbandono nello spirito: Lancon si prende il suo, e ci chiede il nostro, che in qualche passaggio è faticoso accordargli, ma che in un’infinità di occasioni è premiato dall’intensa profondità del pensiero digressivo e alleggerito dalla crudezza dell’autoironia.
Philippe Lancon
La traversata
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
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