In questo romanzo avaro di sensazionalismi ma pieno di microeventi che irradiano la loro forza nascosta per un tempo indefinito, il momento centrale corrisponde alla frase che un contadino pronuncia a una donna più giovane e più istruita: “Ti sistemo il tetto e mi lasci un poco entrare dentro di te”. Prima di porgerla, la frase, l’ha avvolta in un fascio di scuse preventive, e la donna, che di precario mestiere fa la traduttrice e alle parole presta particolare attenzione, fatica a classificarla, a decidere se appartenga all’umiltà o alla prepotenza, alla devozione o alla sfacciataggine, alla franchezza o al disadattamento. La donna è Nat, è appena arrivata, senza che la scelta abbia una ragione specifica, in un grigio paese ai piedi della montagna che si chiama La Escapa; in fondo questo nome è per lei una promessa, perché è in fuga dalla sua ordinata vita precedente, nella quale ha commesso un errore, mai del tutto spiegato e nell’insieme modesto, che però ha infragilito la sua irrisolta identità, e probabilmente l’ha resa bramosa di essere accettata dagli altri, o almeno di non essere respinta. Gli abitanti del paese sono aspri come il paesaggio, e il padrone di casa è un energumeno villano che rasenta sempre l’esplosione di violenza e, quale unico omaggio di accoglienza, le rifila un cane, ribattezzato Fiele da Nat che subito ne intuisce la vulnerabilità e l’insidiosità. L’estraneità che Nat avverte rispetto agli abitanti è il frutto del suo sguardo – distaccato, superiore e tendente all’oggettivazione, quasi da antropologa – e della piccineria della piccola comunità ripiegata, dentro la quale pare impossibile tenere segreti, non meno però di quanto appaia precluso a ciascuno di penetrare profondamente nell’animo del prossimo. Il desiderio di Nat verso il paese forse è analogo a quello dell’uomo che le ha inoltrato l’insolita proposta sessuale: che la faccia entrare dentro, ma un poco. Il miracolo di questa frase, socialmente tanto incongrua, è che combina alla perfezione la concretezza essenziale del linguaggio con un livello altissimo di non detto. È una simile ambiguità che fa apparire a Nat plausibile accettare la proposta e poi le dischiude un inatteso orizzonte sentimentale, in cui però il rapporto di forza si trasforma a suo sfavore dentro quelle stessa intersezione tra linguaggio e mutismo, destinata a sfociare nel fraintendimento. La notevole capacità di analisi di Nat, che si tratti del suo amante o della comunità che progressivamente le si rivolta contro, è inferiore al suo bisogno di essere accettata e alla sindrome di empatia verso i suoi persecutori o prevaricatori. In una storia asciutta, tesa, ipnotica e raccontata con purezza linguistica, grandi temi quali la spinta conformista, il maschilismo paternalista, la grettezza del gruppo chiuso, i percorsi torbidi dell’attrazione e la violenza del linguaggio vengono affrontati da Sara Mesa con intensità psicologica e narrativa e naturalezza, scevri da ogni sovraccarico ideologico.
Sara Mesa
Un amore
Traduzione di Elisa Tramontin
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