Forse nessuno come il fresco ottantenne Silvio Ramat ha saputo in questi anni coniugare, in poesia, il lirismo con l’ironia. Studioso di letteratura e critico, Ramat si è formato sull’ermetismo e Piero Bigongiari, ma applicatosi ai versi ha imboccato la strada opposta, quella di un realismo quotidiano e narrativo affidato a un endecasillabo fluido e senza asprezze: nei rari casi in cui se ne discosta avverte l’obbligo di segnalarlo con un tratto di punteggiatura o uno spostamento sulla pagina del verso. Il suo “endecasillabo povero” (definizione che egli stesso ha adattato da una recensione che dei suoi testi fece Luigi Baldacci) gli è servito per scrivere un romanzo e- avverte in questa raccolta- anche per combattere i suoi rivali nell’arte: “Bastava conversassi in faccia a loro/ per un quarto d’ora in enedecasillabi/ In questo a vent’anni ero già impeccabile”. Nei suoi libri più recenti (“Fuori stagione” non è l’ultimo, per lo stesso editore sono seguiti “Corre voce” e un’opera fuori commercio) Ramat attualizza il suo già dichiarato proposito di rendere coincidenti l’atto del ricordare e quello del vivere e gira intorno al tema dell’invecchiamento, che diventa essenzialmente una questione relazionale più che generazionale. Invecchia quel che per il passare degli anni non è più adeguato a stare dentro la relazione, e a volte è il soggetto che narra e volte l’oggetto: il ricordo, tuttavia, ricuce sempre qualcosa. La vena malinconica è innegabile ma quasi compiaciuta e di rado troppo dolente, nemmeno quando si concentra sulla “fatale intimità” dei compagni di camera ospedaliera e tanto meno quando indugia, fantastica, sull’equivoco tra due anziani (uno dei quali il poeta) che parlano di valori, l’uno riferendosi a quelli trascendenti, l’altro a “nomi da opera buffa, o da pseudo-/sistema planetario: Emoglobina/ Colesterolo…”, insomma “il male messo in cifra dalla gente”. Non separato dal presente ma felicemente incatenato alla memoria, Ramat non si comporta come “chi butta via tutto, anche l’amore/ impacchettato in lettere d’amore/ e le polizze e i mille rendiconti” bensì con “chi invece di nulla si disfà/ serba per l’eterno le ricevute / e le minute, gode ritrovando/ qualche ritaglio o la carta di imbarchi/ ormai dimenticati subissati/ da successivi imbarchi”, e sì, sarebbe ragionevole il contrario e procedere a un repulisti ogni tot anni “ma se si lascia che abbia voce il cuore, /eh no! Tutto è rimesso ad altro quando”.
Silvio Ramat
Fuori stagione
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