Si parte da dove Orwell era arrivato. Dal 1984, non così distopico come aveva ipotizzato il buon George ma se lo guardi da vicino neppure così diverso. Specie nel paese di Breathead nell’Ohio (il sud degli Stati Uniti ormai è luogo letterariamente più frequentato di Parigi o Vienna) nel quale un giudice puro di cuore ha l’ardire di invitare il diavolo, che si presenta sotto le spoglie di Sal un tredicenne di colore che porta con sé un caldo torrido, che scioglie ogni cosa, tanto meglio se metafisica. Un romanzo americano che rompe senza condizioni con il minimalismo e si ricongiunge con la tradizione gotica (qualcuno ha scritto Stephen King, ma proprio non c’entra niente: citare Hawthorne è più pertinente) e che torna a privilegiare i dialoghi letterari scomodando quelli dei grandi romanzi morali russi. Come sempre quando c’è un essere demoniaco da ardere è segno che c’è bisogno di un capro espiatorio (bisogna riconoscere però che Sal ci mette parecchio di suo) per dimenticare le responsabilità di una comunità puritana e conformista. Il narratore è Fielding Bliss, figlio del giudice, fratello elettivo di Sal e con un amato fratello di sangue che scoprirà troppo fragile per sopportarsi egli stesso. La tragedia viene raccontata con una magistrale alternanza di feedback e racconto in diretta. Tiffany McDaniel dà prova di un disinteresse verso la verosimiglianza, anche cronologica, che possono permettersi solo gli scrittori di talento sublime. A volte i suoi dialoganti girano un po’ a vuoto ma l’ambizione è potente e la vicenda incalzante. L’eccesso di punti è quello delle scuole di scrittura ma è raro vederli inchiodare con tanta poetica perizia.
Tiffany McDaniel
L’estate che sciolse ogni cosa
Atlantide
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