Che l’incipit sia ottimo lo si capisce dopo qualche rigo. La mamma che dice alla figlia “Odori di fumo” intende la frase secondo un canone più totalizzante rispetto al vizio della sigaretta. A Calcutta c’è appena stato un attentato terroristico ai danni di un treno, e la giovane Jivan, musulmana di uno slum, entra nella cerchia dei sospettati a causa di un post sui social in cui criticava la polizia, e poi della sua obiettiva presenza sul luogo del crimine. Il romanzo si svolge alternando tre punti di vista, due raccontati in terza persona soggettiva e uno in puro io narrante. Il primo è il punto di vista di Jivan, impegnata a sopravvivere nella sua cruda vita carceraria ma ancora di più a cercare la strada per scagionarsi, a lungo individuata nell’intervista a un giornalista che porti il caso all’attenzione dell’opinione pubblica (riflettore sotto il quale già si trova, ma in una luce colpevolista); il secondo è quello di un insegnante di educazione fisica, il signor PT, mediocre uomo qualunque ingaggiato casualmente nella militanza politica del partito di destra presso il quale fa carriera prestandosi a servizi di vario genere, con una specializzazione nelle testimonianze false rese in tribunale; il terzo è quello della trans Lovely, che sogna una carriera attoriale e passa dalla derisione e lo sfruttamento di gente senza scrupoli a un’inattesa popolarità social che prelude al successo di massa sul set cinematografico. Quel che lega PT e Lovely a Jivan è che, da contesti diversi, potrebbero contribuire testimonialmente ad alleggerire la posizione di Jivan. L’autrice Megha Majumdar, portentosa esordiente, vuole però andare oltre questo punto di contatto ed esplora lo sviluppo di tipi umani pronti a immolare il prossimo in nome della personale ascesa sociale, e ne rende bene il senso progressivo dello svuotamento etico. Il tutto in una chiave universalistica di pessimismo e sullo sfondo di un paese, l’India, in cui la democrazia è umiliata dalla corruzione e dall’odio etnico. Ci sono diversi scarti tra un fedele realismo descrittivo e psicologico e certi sfasamenti della coscienza individuale o ricostruzioni un tantino naif delle dinamiche sociali ma, in questo varco che a tratti pare segno rivelatore di una maturità artistica non ancora compiuta, la scrittura potente di Majumdar – rimbalzante tra l’adattamento dell’oralità e improvvisi raccoglimenti lirici – riesce a far apparire tutto felicemente controllato.
Megha Majumdar
Un incendio
Traduzione di Annarita Briganti
Frassinelli
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