Si avvicinano le vacanze e tradizione vuole che la lettura si indirizzi verso i classici, magari recuperando quelli che si sono trascurati. Rispetto ai nomi più consueti, un’ottima idea potrebbe essere avvicinarsi a G.K. Chesterton, per chi non l’ha ancora fatto (o l’ha fatto solo con i racconti di Padre Brrown). Nell’ampia produzione, che in particolare l’editore Lindau sta pubblicando integralmente, suggerirei lo stordente “L’uomo che fu Giovedì”, scritto nel 1908. La storia ruota intorno a un gruppo di anarchici che designano i sette membri del gruppo direttivo con i nomi dei giorni della settimana e debbono vedersela con un’infiltrazione di investigatori ricca di sorprese. Cosa deve aspettarsi il lettore? In teoria non un libro agevole, se si considera che con un salto brusco nelle ultime venti pagine una funambolica e paradossale commedia si conclude con un sermone misticheggiante, che ben si attagliava alla centralità del cattolicesimo in Chesterton. Ma il lettore più attento coglierà come il passaggio sia meno radicale di quanto appaia, poiché sin dall’inizio il romanzo è immerso in un clima onirico e sottilmente infarcito di osservazioni filosofiche. Eppure si naviga in una leggerezza estasiante, grazie alla brillantezza umoristica (irresistibile nei dialoghi) e alla chiarezza cristallina di scrittura di Chesterton. Sono convinto che le ultime venti pagine susciteranno in venti lettori altrettante sensazioni differenti, ma giustamente scrisse Piero Citati “ come Voltaire aveva usato le forme brevi per rendere ridicola la religione, lui sarebbe ricorso alle stesse forme per rendere follemente divertenti Dio, la teologia tomistica e il bene” (mostrando però, a proposito del male, sempre una misericordiosa attenzione verso colui che lo compie). Non è un caso se Italo Calvino lo definì il Voltaire cattolico e Borges la sua lettura più spassosa.
G.K. Chesterton
L’uomo che fu Giovedì
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