Recensione del libro “La vita breve” di Juan Carlos Onetti

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Per non farsi nemici è giusto chiarire che questo è anche un libro sconsigliato: è letteratura pura, metaletteratura, processo distruttivo dei personaggi non meno che creativo. Un’opera difficile, cupa, spigolosa. Se non vi fosse bastato, sappiate che Juan Carlos Onetti venne considerato una sorta di crocevia tra lo sperimentalismo di Faulkner e l’esistenzialismo di Sartre, e questo libro ne è la prova più evidente. Però (avviamo la retromarcia) il suo pessimismo ha un fondo di tenera dolcezza sconosciuto a Sartre e la lingua una musicalità poetica e fluida e una forza evocativa straordinaria, secondo me superiore a quella di Faulkner, e più immediatamente coinvolgente. Ne “La vita breve” (uscito nel 1950) l’impiegato pubblicitario Brausen, per sopperire alle miserie dell’esistenza che gli incombe pratica due strade: intrufolarsi nella vita della vicina di casa, praticando una diversa personalità e mentite spoglie, e creare un personaggio di fantasia, il dottor Diaz Grey che diventa un mediatore distorsivo delle sue aspirazioni e delle fobie. I confini si sgretolano fino a rendere difficile stabilire chi racconta chi, e non ci sentiremmo di escludere che Brausen, Arce (questa la sua identità con la prostituta vicina di casa, la Queca) e Diaz Grey siano tutti loro a inventare Onetti. Quello che unisce tutti i personaggi è l’impossibilità di trovare una chiave risolutiva dentro una dualità: la scelta è tra la solitudine o l’escrescenza di un terzo. Detto così può sembrare speculazione filosofica, ma ha un andamento un filo noir e non potete immaginare quale acuto infilarsi sotto la pelle diventa attraverso la penna di Onetti.

Juan Carlos Onetti

La vita breve

Traduzione di Gina Maneri

Sur

Di |2021-04-24T08:21:55+01:0024 Aprile 2021|Libri consigliati|

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