“Storia e pratica del silenzio” estratto dal paragrafo “La lettura silenziosa”
Come si può intendere in questo scorrere da un secolo all’altro, tutto il processo della lettura silenziosa fu graduale, e alternato al piacere di quella orale che riportava pur sempre in mente un momento fondante delle comunità ristrette. Un gentiluomo inglese del Settecento, tal Samuel Pepys, le cui abitudini di lettura sono state documentate dai suoi diari, confessava di leggere di nascosto i romanzi in chiesa se la predica gli risultava tediosa ma non disdegnava di passare un suo volume a una donzella durante un viaggio in carrozza, pregandola di leggere a voce alta per lui e gli altri viaggiatori (nelle campagne, poi, rimaneva l’esigenza di affidare a quei pochi alfabetizzati di fungere dai mediatori per le notizie giornalistiche e le prime propagande politiche). La solitudine della lettura e il suo racconto condiviso, o la recitazione dei brani che più avevano infiammato l’animo, espressero una nuova proposta di socialità. E svilupparono un orgoglioso agonismo e una concisa memorialistica, manifestati da annotazioni a penna sulle copie: “letto dal principio fino alla pagina 105 in Venezia la sera del 14 ottobre nella Locanda del Tromba”, “letto nella famosa osteria di Posta di Loiano la sera del 24 ottobre 1755 dalla pagina 105 fino alla pagina 179 e viaggiando verso Firenze in corriera”.
Ma anche quando riportato alla condivisione vocale, il testo moderno tradiva il suo adattamento al nuovo supporto e alle tecniche mnemoniche che ne conseguivano. Non c’era più bisogno che una storia girasse intorno ai consueti stereotipi e ai personaggi fortemente tipizzati, che sostenevano meglio l’oralità, e nella loro struttura episodica e digressiva consentivano all’ascoltatore tardivo di recuperare il senso della parte che aveva perso. Il romanzo nacque dalla possibilità di gratificare ogni personaggio della sua psicologia particolare. La lettura silenziosa e il libro tipografico non offrivano solo la chance di camminare più spediti dentro il libro, ma anche di attraversarne liberamente il ritmo e di ripescarne senza difficoltà i dettagli che fossero scivolati via. E già si discuteva se la lettura rigenerata dal silenzio dovesse contentarsi di pascolare come “transitoria soddisfazione” o se, come dal Guardian perorava Steele, “dovremmo essere compiaciuti in proporzione a quanto abbiamo profittato della lettura”.
Si smise di tipizzare esageratamente i personaggi e si cominciarono a tipizzare i lettori. Questa sorte toccò soprattutto alle donne, il pubblico principale del romanzo e anche dei giornali. Il fondatore dello Spectator, Addison, nello stesso momento in cui sosteneva che il suo scopo era di creare una coscienza nei lettori chiariva che il sapere è più consono al mondo delle donne che a quello degli uomini, troppo assorbiti dagli affari. La lettrice silenziosa divenne un topos iconografico di successo, esplorato da diversi dipinti che la contestualizzavano nei salotti o all’aria aperta. Si dibatteva se questa sua nuova attività giovasse o meno allo stato dei costumi. Da una parte ripugnava che ficcasse in testa alla donna troppe fantasticherie; dall’altra si trovava commendevole che le fantasticherie le sfogasse sui libri invece che nella realtà, e che quella passione la contenesse nelle mura casalinghe. Ma molte delle posture riprese nei quadri non riuscivano, e nemmeno intendevano, discostarsi da una rappresentazione sensuale.
Scrivi un commento