“Storia e pratica del silenzio” estratto dal paragrafo “Il silenzio nella Bibbia”
Che la Parola donata all’uomo cominci il suo cammino biblico incespicando è innegabile. Adamo ed Eva non riescono a volgerla in dialogo, mai parlano direttamente tra loro, così come Caino e Abele. Interpellato da Dio, Abramo prova a nascondersi; Caino gli si rivolge con senso di ribellione: “Sono forse io il guardiano di mio fratello?”. Noè, incaricato di traghettare verso il futuro l’umanità che si proverà a rigenerare, non pronuncia mai verbo, né mostra reattività che non sia silenziosamente esecutiva verso le istruzioni impartitegli dal Signore. Il dialogo non prende dimora né tra coloro che trasgrediscono il volere di Dio né tra coloro che vi ottemperano. E lo stesso monologo di Dio, transitando per il filtro profetico, non si dispiega nella pienezza della verbalità: Geremia dedica quasi un intero capitolo a mettere in guardia contro i falsi profeti, e li identifica in primo luogo dalla logorrea, e della leggerezza con cui viaggiano sopra le parole. Successivamente, consultato dal suo popolo sull’opportunità di restare in Canaan o fuggire in Egitto dopo l’assassinio di Godolia, Geremia tace per dieci giorni prima di fornire la risposta, perché tale è il tempo che Dio stesso attende per parlare attraverso la sua bocca. Eppure la piega che gli eventi stanno prendendo imporrebbe di non attendere, e, al posto di Geremia, qualcuno dei falsi profeti contro i quali lui predicava avrebbe probabilmente assunto l’iniziativa. In questo modo, tuttavia, Geremia abdica alla sua volontà e si consegna effettivamente a quella del Signore. Se ne ricava che la rivelazione di Dio è vera soltanto se è sostenuta dal silenzio.
Tocca proprio ad un profeta, Elia, di sperimentare come la presenza di Dio possa nascondersi fuori dalla parola
Scrivi un commento