“Storia e pratica del silenzio” estratto dal paragrafo “Il silenzio dei monasteri”
Volgendosi agli albori della vita monacale, il silenzio non è cosa sorprendente, visto che monaco deriva da monos e che precursori furono gli eremiti che nel IV secolo, in Egitto, Siria e Mesopotamia, scelsero di ritirarsi nel deserto. Essi intendevano ripercorrere la strada di Gesù – in particolare la resistenza alle tentazioni di Satana che, secondo il racconto biblico, proprio nel deserto aveva sfoderato il suo repertorio – e rinnovare la stagione martirologica: dato che l’adesione alla cristianità offriva ormai onori invece che persecuzioni, quegli uomini cercarono di risalire alle radici delle sorgenti spirituali e della sofferenza che vi si riteneva connessa, sostituendo anche il più modesto dei lussi mondani con un’ascesi rigorosa sino alla mortificazione della carne (suscitando il postumo sprezzo di Hegel, da cui fu denigrata come la “zelante preoccupazione per le funzioni animali” che si esauriva nel “covare se stessi”) in un luogo adatto all’incontro con Dio. Mancava insomma nel loro progetto la materia prima per le conversazioni, e il silenzio, oltre a completare il quadro dell’essiccamento esistenziale, era un dato obiettivo quanto la sabbia rovente e gli strapiombi rocciosi. Vero è che quel progetto venne presto funestato da una schiera di ammiratori. Anche se non c’erano ancora i social media a viralizzare le condotte inconsuete, le voci correvano velocemente, e i “Padri del Deserto” (così vennero appellati e oggi ricordati) dovettero far fronte all’afflusso di persone che venivano a chiedere intercessione e consigli per i propri peccati e dei discepoli che reclamavano di affiancarli nel percorso. Alcuni non si rassegnarono e continuarono a spostare le tende sempre più lontano, lamentandosi che i deserti non erano più quelli di una volta, come i cittadini di una metropoli del XXI secolo percorrono in circolo i quartieri, increduli che sia impossibile trovare un parcheggio. Sant’ Antonio, per scansare il prossimo, cercò rifugio persino in una tomba e per non dare confidenza pare che Agatone abbia trascorso tre anni con una pietra in bocca. Poi, come Ammonio, Macario e altri, diciamo pure la maggioranza, divenne meno intransigente e si accomodò a una coabitazione fra le grotte. Prima della fine del IV secolo, pare che Nitria arrivasse a contare 5000 monaci. L’anacoretismo cedette così il posto al cenobitismo, termine che designava la vita organizzata in comune tra i monaci, ognuno dei quali aveva una sua sobria cella per dormire e riacquistare la solitudine
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