“Storia e pratica del silenzio” estratti dal capitolo “Il silenzio perduto e il silenzio cercato”
Nel silenzio della natura cerchiamo di ritrovare l’unità. L’anima mistica la cercherà nel sacro, lo spirito laico nello strato che si nasconde sotto l’accumulo. Il deserto è un luogo privilegiato del silenzio sia per chi sente alitare il soffio di Dio sia per chi lo ammira nella sua fossile mineralità. La natura, in effetti, ingloba le rovine, promuove le tracce e le orme del passato umano a incongruo simbolo di silenziosa eternità. Il silenzio della natura si erge materico, denso e profondo. Chi vi si abbandona scavalca il vuoto per entrare in una forma di plenitudine (qualità del silenzio che Valesio ha evidenziato specialmente nella retorica). È negli spazi quasi-muti della natura che l’universo proclama la sua autosufficienza. Nella maggior parte dei casi. un rumore della vita di tutti i giorni ci disturba o perché è funzionale (e come tale inesorabilmente destinato a reiterarsi) o perché è disfunzionale (capita per accidente, e la sua frizione con la quiete ci fa rabbia). I suoni che si condensano nel silenzio della natura sono e basta. La loro utilità non è sindacabile, al pari dell’inutilità.
La solitudine, in effetti, è una condizione normale del silenzio: ma non è vero il contrario. La solitudine non si scaccia rifugiandosi nello stordimento delle parole e dei suoni, e anzi nel vano e nel frastuono si acuisce. Si tratta, in quei casi, di una solitudine impaurita, dell’incapacità e della paura di ascolto interno: dell’oblio di sé. Una perdita cui il silenzio interiore consapevole tende a rimediare.
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