A proposito del numero dei linguaggi amorosi, e se si tratti o no di una cosa seria
Scopri quali sono i cinque linguaggi dell’amore! Sembra un clickbait o comunque una di quelle esche numeriche che fanno sfracelli in Rete. In realtà è il titolo del volume scritto da un reverendo battista della Carolina del Nord, del quale il New York Times e il Guardian hanno celebrato ciascuna il trentennale: un po’ di credito, insomma, dobbiamo darglielo. Il reverendo decise di pubblicarlo sulla base della sua esperienza, come sposo prima di tutto (lì gli si accese l’eureka) ma anche quale consulente matrimoniale. All’inizio non fu un successo, 8400 copie vendute (buttale via, si accenderebbe un editore nostrano); ma l’onda è stata lunga, sì sì, lunga lunga. Pare che includendo gli audio e gli ebook siamo arrivati a venti milioni (e se volete sentire l’autore in podcast eccovi questa dritta). Nei testi più seri sull’amore è accuratamente evitato nella bibliografia. Propone un approccio empirico, in effetti più pastorale-rurale che lirico o da terapeuta metropolitano. Per dire, a Helen Fisher, che sostanzia l’amore in un pompaggio a tempo (due anni) di ossitocina avrà fatto rizzare i capelli in testa. Si tratta davvero di un ingenuo ed edificante manualetto d’uso? Vediamo quali sono questi cinque linguaggi.
Beh, non sono linguaggi. O meglio lo sono in senso semiotico, ma è difficile immaginare una distanza maggiore di quella che intercorre tra Roland Barthes e Gary Chapman. Linguaggi dell’amore suonava bene (quindi era un clickbait in anticipo con i tempi), come “ditelo con i fiori”, nella sostanza si dovrebbe chiamare “le cinque categorie di comportamento che tengono in piedi una coppia”, ma naturalmente non avrebbe venduto venti milioni di copie, e forse nemmeno quelle prime 8400. Entriamo nel vivo, quali sono questi big five?
- I complimenti verbali. Dì al partner le cose che apprezzi, non tenertele dentro.
- Il tempo di qualità. Fai qualcosa insieme e lui dedicando attenzione (molla, molla quel cellulare, rispondi più tardi…).
- I regali (tipo, appunto, ditelo con i fiori).
- Gli atti di servizio (preparare una bella cenetta, sbattere i tappeti).
- Toccare (dal tenersi per mano e fare sesso).
Tutto qui? Fra un attimo vediamo che cosa dovremmo farcene di quest’informazione. Ma commentando per ora la classificazione, come dicevo, è una visione pragmatica, che però nel suo rigore somiglia un po’ tanto a far bene un lavoro: d’altronde, sia pure infiocchettato diversamente, anche le terapie familiari adottano un parametro efficientista. Quando leggiamo i cinque punti, ci è evidente che li conoscevamo già per conto nostro; e però dobbiamo ammettere che vi è una talentuosa sapienza categoriale, e se vivisezioniamo le giornate di una coppia in tante piccole azioni sembra che stiano proprio là dentro, e sextus non datur (in effetti nessuna delle proposte di incremento è stata sin qui convincente). Qualcuno ha provato a parafrasare in modo più dotto la cinquina di Chapman, ad esempio Christian Shuldt in Der code der Herzens (Il codice del cuore), ma una tristezza…stai con i piedi per terra, vacci cauto con la fusione nell’altro, impara a gestire i conflitti, dosa i sentimenti…e poi ti stupisci che si finisca in due letti separati! La verità è che, se escludiamo il Simposio di Platone, tutti i discorsi dell’amore come sistema paiono velleitari, e si preferisce sbrogliarli con la narrativa; e tanto più i sistemi paiono culturalmente solidi tanto più sono astiosi verso l’amore, basti citare Freud, Schopenhauer, Luttwak o i neurobiologisti, e più in generale quelli che lo riducono a codice simbolico o sistema di mercato. Per parlare intensamente d’amore Barthes ha scelto il frammentismo, dimostrando che, dal punto di vista della pura struttura, quando si parla di amore meglio Nietzsche che Hegel (per la struttura, eh? in termini di contenuto, sull’argomento sono scarsini entrambi).
Il punto più interessante, comunque, viene dopo. Chapman ha appena festeggiato sessant’anni di matrimonio ma racconta che all’inizio non era stata tutte rose e fiori. La moglie gli pareva spigolosa, perché non dava peso ai suoi regali e alle sue dichiarazioni d’amore. L’arcano si svelò quando lei gli disse: “Beh, se dici che mi ami tanto perché non mi aiuti mai a casa?”. Chapman realizzò che per entrare in sintonia emotiva con la moglie era più utile portare fuori la spazzatura che incensarla per il décolleté, e più in generale che ognuno di noi ha una modalità specifica per manifestare o ricevere amore, riconducibile alle sue cinque categorie. “La lingua del tuo amore emotivo e la lingua del tuo coniuge possono essere diverse come il cinese dall’inglese. Non importa quanto tu cerchi di esprimere amore in inglese, se il tuo coniuge capisce solo il cinese, non capirete mai come amarvi”. Quest’anno uno studio dell’Università di Varsavia ha constatato una maggiore soddisfazione nella relazione tra le coppie che parlavano la stessa lingua alla maniera di Chapman, o più precisamente le coppie nelle quali gli individui esprimono l’amore nei modi in cui il partner preferisce riceverlo.
Non annoierò il lettore con i sette indicatori che lo psicologo John Gottman, anche lui bestsellerista insieme alla moglie Julie Schwarz, ha inventato per predire (dice lui, con un margine di errore del 10%) la durata di una coppia, che ovviamente possono essere letti anche al contrario (metti impegno per stare dentro i parametri) e che somigliano quasi sputati ai cinque linguaggi di Chapman. Sullo sfondo rimane una posizione come quella dello psicoanalista Fritz Riemann, ovvero “l’amore non è uno stato ma un fare”. Sono convintissimo anch’io che si possa essere portati o invece negati per il “mestiere” di partner: non bisogna però confondere le tecniche per salvare la coppia dalle spinte per salvare l’amore, perché in questa ultime l’essere conta non meno del fare. A questo riguardo, il filosofo John Armstrong – servendosi della narrativa di Tolstoj – sostiene che vi è una contraddizione tra l’unirsi con la persona che si ama e continuare ad amarla per la vita, perché fuori dalla grazia dello stato nascente (come Alberoni chiamava l’innamoramento) si torna a una più insidiosa dimensione quotidiana. Per Armstrong, “questa è la tragedia interna dell’amore. Se una relazione amorosa ha successo, se i nostri sentimenti vengono ricambiati e si trasformano in un rapporto, il partner deve rivelarsi diverso da come lo immaginavamo. L’amore aspira all’intimità, ma l’intimità ci mette sempre di fronte a una situazione diversa da quella che ci prospettavamo”.
Rielaborata in modo meno pessimista, la tesi di Armstrong mi sembra richiedere, come condizione perché un rapporto duri, una certa mobilità interna, una capacità di rispondere alla crescita del partner con una crescita propria; e se la trasferisco sulla tesi di Chapman, mi viene da dire che per far durare l’amore (e non solo la coppia) è necessario, quelle cinque lingue, parlarle un po’ tutte e possedere la capacità di tradurle a senso piuttosto che letteralmente. Più che la residenza in uno stato considererei la vita di coppia un viaggio, dove ogni tanto ti tocca cambiare lingua perché hai passato un confine. Altrimenti, l’unica variante alla crisi tradizionale sarà che da un giorno all’altro il partner sparisce dopo avere detto che usciva per portare fuori la spazzatura (invece che per comprare le sigarette). Credo che dei criteri indicatori siano utili ma le regole standard quasi sempre velleitarie: del resto, con buona pace di Tolstoj, ogni amore è diverso, se non altro perché è del tutto personale la proporzione corretta tra la novità che lo accende e la ripetizione che lo tiene felicemente vivo. Se proprio dovessi azzardare un sesto “linguaggio” direi: fate in modo che nella vostra vita ci siano una certa quantità di riti, che appartengono solo a voi. Ma il problema dei cinque linguaggi non è tanto che manca il sesto, ma che in fondo tutti sono riconducibili a uno solo, che è il piacere di donare e l’etica di non rinfacciarlo mai.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
Dalla democrazia di Atene a quella del web, un atto di accusa verso un regime politico che non riesce più a risollevarsi e mantenere le sue promesse. Una revisione radicale dei concetti di libertà, eguaglianza e giustizia, contro ogni ipocrisia, per salvare l’ideale della democrazia mediante una serie di soluzioni rivoluzionarie senza passare per la rivoluzione. Un tentativo di riconciliare i cittadini e gli stati (entrambi oggi assai lacunosi) nel segno di una nuova democrazia partecipativa responsabile.
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