Non c’è altra specie cui sia noto il fenomeno della guerra, salvo due eccezioni nel mondo degli insetti: le termiti e soprattutto le formiche. Queste ultime, in particolare, sono gli unici animali, fuori dall’uomo, che conoscono la proprietà, possiedono riserve e beni, hanno dimore stabili e lavorano secondo gli ordini che ricevono in modo disciplinato. Secondo Gaston Bouthoul, cui si deve uno dei più completi saggi sulla natura e le ragioni della guerra (Le guerres: élements de polémologie, pubblicato esattamente quarant’anni fa) a questo indiscutibile somiglianza economica si deve aggiungere che le linee concentriche in cui le formiche si dispongono dirigendosi verso la loggia sono sospette di obbedire a una funzione cerimoniale, e dischiudono la possibilità che anch’ esse abbiano una vita sociale e religiosa, che le spingerebbe alla guerra.
Nelle ultime pagine dello stesso volume, Bouthoul ripercorre i tempi delle guerre in Europa, individuando una cadenza trentennale. Il lungo periodo di pace dopo la seconda guerra mondiale (peraltro sostituito per trent’anni dall’incombere di una deterrenza armata assimilabile psicologicamente a una guerra) rappresenta sin qui un’eccezione.
Quando si discute se inviare in qualche luogo truppe come forze di pace, che pur sempre vengono dispiegate sul territorio quali forze di guerra, o peggio quando una forza multinazionale invade uno stato per sradicarne un regime dispotico o terrorista, mi attanaglia il dubbio che ci sia un vizio alla radice: quelle truppe rappresentano una comunità di paesi. Rappresentano: cioè i soldati vanno al posto mio. Ma il concetto di rappresentanza e di delega presuppone che il delegato faccia qualcosa che saremmo disposti a fare noi stessi, altrimenti è una delega invalida. Ma noi saremmo disposti? Non dico a rallentare i consumi nel caso che uno stato fornitore per rappresaglia ci tagli il gas (a quello ho capito che non siamo propensi) ma dico proprio imbracciare il fucile e andare a sparare addosso a qualcuno, mentre cadono le bombe a fianco. Io appartengo a una generazione cresciuta quando la guerra, sì, ancora si paventava (e qualcuno troncava dicendo meglio rossi che morti perché una nuova guerra pareva inscindibile dall’uso di armi nucleari) ma davvero pareva impossibile (sempre per via delle armi nucleari). La guerra era già un’esperienza fisicamente inaccessibile all’uomo comune europeo, sia pure per gradi diversi (Balcani docet; e più modestamente, tuttora in Francia la scuola di alta amministrazione pubblica contempla la possibilità di un addestramento militare estremo, sino all’arruolamento temporaneo nella Legione Straniera). La volta in cui mi è passata fisicamente più vicina ero a Napoli, svegliato alle sei del mattino dai caccia americani che sorvolavano il cielo, diretto verso l’Irak. Non c’era Internet, mi alzai e accesi televideo per verificare. Sì, era scoppiata la Guerra del Golfo.
Perché lo sappiamo bene che la guerra è continuata ad accadere, però salvo l’eccezione balcanica (assimilabile a una gigantesca guerra civile), lontano dall’Europa. Non c’è da farsene del tutto un vanto, perché abbiamo fatto poco per impedire che continuasse a scoppiare lontano, e anzi lo abbiamo anche favorito in alcune circostanze. Non del tutto, ma un poco sì: ora consideriamo la guerra addirittura illegale.
Nel 2014 avevamo avuto un assaggio di quel che adesso però è deflagrato, ed è una terribile guerra a tutti gli effetti. Le responsabilità del conflitto sono tutte degli aggressori russi? Secondo alcuni osservatori geopolitici non bisogna nascondere le responsabilità occidentali, e quelle americane in particolare. Non era stato promesso, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, che sarebbero state rispettate le aree di influenza del vecchio impero sovietico? Non è stata colta ogni occasione per umiliare la potenza russa?
Un testo scritto, successivo alla caduta della cortina di ferro e riguardante la Russia e l’Ucraina esiste, ed è il memorandum di Budapest, con cui l’Ucraina restituiva alla Russia l’arsenale nucleare presente nel paese (un terzo di tutto quello sovietico) in cambio del rispetto per la sua integrità territoriale. E dalla caduta del Muro ne abbiamo sentite di belle. Tipo: “Aderire alla Nato? Perché no? Non escludo una tale possibilità se saremo partner alla pari. Con difficoltà immagino la Nato come un nemico”. Vladimir Putin, 2000. O anche: “L’Ucraina è uno stato sovrano e ha il diritto di scegliere autonomamente la strada per garantire la propria sicurezza”. Vladimir Putin, 2002. Certo, di acqua ne è passata sotto i ponti. Dal 2008 Putin ha messo in chiaro quanto gli fosse sgradito l’allargamento a est della Nato. Tutto è precipitato quando lo “stato sovrano” dell’Ucraina ha rovesciato con una rivoluzione pacifica il governo filorusso. Con la collaborazione dell’Occidente? Su un moto spontaneo si innestano sempre infiltrazioni interessate, quindi può darsi. Ma cosa scegliereste tra quei giorni e quelli della protesta bielorussa, soffocata nel sangue e nel carcere? Dite che non dobbiamo farci piacere per forza gli ucraini, che vanno bene giusto per pulire il sedere ai nonni europei, ma è gente che non abbiamo potuto accettare nell’Unione Europea perché sono al 117mo posto per corruzione nel mondo e perché cooperarono furiosamente con i nazisti nello sterminio degli ebrei? Oggi si ricordano solo i collaborazionisti e non il milione di ebrei massacrati, che sempre ucraini erano. Come era ucraino il primo soldato che entrò ad Auschwitz buttando giù il recinto.
Ma restiamo sull’essenziale. Al più si potrebbe addebitare una parte delle responsabilità all’occidente per la crisi diplomatica: la guerra non è la continuazione della politica con altri mezzi (non più, caro Clausewitz), la guerra, questo tipo di guerra specialmente (invasione di uno stato reso inerme e che non potrà mai ribaltare il conflitto nel territorio dell’aggressore) non ammette sconti, giustificazioni e attenuanti.
E soprattutto c’è un altro problema, e mi duole molto che vada posto anche alla sinistra della New Left Review e di LeMonde Diplomatique che discettano sulla scarsa deontologia politica degli Stati Uniti e dell’Europa. Quel problema è che la maggioranza dei cittadini ucraini (dopo l’attacco, una maggioranza ulteriormente incrementata) vuole decidere liberamente della sua sorte di nazione libera, e non in direzione della Russia. Che cosa gli raccontiamo? Che se la prendano con la geopolitica (più precisamente con la pretesa di stabilizzare il quadro geopolitico al trentennio precedente, ma non è interessante qui soffermarsi sulle sfumature), ci pensavano prima e non si trovavano i missili e i carri armati?
(Ovviamente non manca mai qualche richiamo all’ipocrisia, che ci si inalbera per la Russia in Ucraina, ma invece in Medio Oriente, ma invece nello Yemen, ma invece di qua, invece di là…sacrosanto! Bisognerebbe essere equanimi, ma non al ribasso. Cioè essere solerti anche in altre occasioni, non girare la testa dall’altra parte in tutte le situazioni. Ora che c’è una corsa solidale per i profughi, e si dice: e questi sì che sono profughi, non come quegli altri – tipo i facoltosi turisti siriani mascherati da profughi – ospitiamoli, accogliamoli…cosa fai, lo butti via? Dici: eh no! Adesso rimandate al mittente pure questi altri! Lamenti l’ipocrisia, o hai un animo gentile e ti viene da pensare, almeno per una volta, cominciamo con loro…)
(C’è anche un altro aspetto buffo, questo tipicamente italiano, che alcuni filorussi, o almeno cerchiobottisti, sono gli stessi che lamentano la violazione di libertà che comporta l’imposizione del vaccino. Ti aspetteresti che questa sete di libertà li facesse saltare sulla sedia e invece…ma d’altronde i russi stanno entrando con i cannoni, mica con le siringhe!).
Ci sono alcune cose che questa guerra ci ha fatto ricordare. Che i capi degli stati che hanno le armi nucleari in mano sono sempre più spesso degli squilibrati, che si tratti di democrazie e di autocrazie. Questo è un dato psicologico molto inquietante. Avremmo preferito, nonostante tutto, pensare a Putin alla vecchia maniera, come un uomo pragmatico ma cinico e feroce, piuttosto che andato fuori di testa, quale probabilmente è. Un’altra è che la guerra in Europa ritorna possibile, perché un attacco in questi termini è la violazione di quello che potevamo illuderci stesse divenendo un tabù. Comincia a modificare l’animo: hai pena per qualsiasi morto, ma ti scappa quel secondo in cui pensi che un russo respinto, anche con il sangue, non è una notizia orribile. Ti sei scordato per un secondo che è un povero ragazzo e non il cattivo di un film (anche se fai bene a parteggiare, e tenere distinte le responsabilità) e sei finito corrotto in quel marciume interiore che credevi relegato ai libri di storia o alle terre lontane e che, non solo segue, ma anche prelude, alla strage della carne, e altre stragi ancora. Forse è davvero una questione innata. Se non ci sono riuscite le formiche, poi, non si capisce perché dovremmo far meglio.
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