Calendari dell’avvento per adulti

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Il racconto di Natale

Il biglietto di Elisa è datato 1° dicembre 2021, anche se lei è mancata il 2 novembre. Ha sempre avuto una passione per il gioioso formalismo del futile. Così precisa, poi, ad andarsene proprio nella festa dei morti.
Il biglietto è dentro al pacco regalo consegnato in quello stesso giorno, certamente da qualche sua amica che aveva ricevuto le istruzioni per la sorpresa.
Dolce mio Corrado, avrei voluto farcela a combattere ancora un poco, festeggiare con i nostri amorevoli riti l’ultimo Natale. Ma ormai capisco che non ci arriverò. Da tempo sto lavorando a questo prolungamento della nostra comunione. Aspettare insieme sino alla vigilia, aprendo le caselle di un calendario dell’avvento che in questi mesi, quando il dolore mi concedeva tregua, ho minuziosamente preparato perché tu ne aprissi le finestre giorno dopo giorno, come abbiamo fatto in questi nove anni. Immaginami lì a fianco, dove in qualche forma davvero mi troverò. Corrado apre il pacco e dispiega l’enorme cartone dipinto con vitale gusto multicolore e una dominanza di rosso pompeiano, ricerca in quella selva cromatica le ventiquattro bifore da dischiudere. Stacca la prima tendina e osserva quella piccola foto che qualcuno aveva scattato a lui ed Elisa circa venti anni prima. Elisa che si raccoglie i capelli arricciando il labbro davanti all’obiettivo, lui che si solleva dietro le sue spalle come un sole sorgenteSobbalza per un rumore, poi si rende conto che proviene dalla strada. Da una settimana F. si è trasferita da lui, e a quest’ora starà per tornare. Corrado per un attimo pensa di aprire tutte le caselle. Poi respira profondamente e ripiega il papiro, addomesticandone la resistenza. Non lo appende, dunque, lo infila nell’anta dell’armadio che contiene le sue camicie, allineate sulle stampelle con le maniche penzolanti, come sfiduciate.
F. rincasa dopo dieci minuti. Andata bene? Sì, grazie, e tu? Novità? Nessuna novità.
F. esce molto presto, il suo turno fisso comincia alle sei. Se il suo fosse stato un lavoro ordinario probabilmente avrebbero atteso ancora del tempo per vivere insieme, ma quegli orari non se ne accorge nessuno, e del resto non hanno a chi dare conto.
Corrado prende sempre la linea A direzione Battistini alle nove e quattordici, il satellitare dice che ci vanno quattro minuti per raggiungere la fermata Arco di Travertino, ma è una stima per eccesso. Dopo la doccia e la colazione ha il tempo per aprire la finestra di quel giorno.
Il 4 c’è l’ultima foto che Elisa ha osato fare nuda, prima che la malattia cominciasse a rosicchiarla sino al midollo. Nella foto Elisa si preme scherzosamente il seno, come volesse rimodellarne l’argilla.
Il 6 la riconoscibile ed elementare grafia di Elisa ha tracciato dentro un cerchio coronato di inesatti trifogli purpurei la frase: non sarai mai da solo.
Il 13 la foto di entrambi, sullo slittino che cala da una cima della Val Gardena. Elisa occupa quasi tutto il piano, Corrado ci sta dentro per metà.

Appena sveglio Andrey guarda il telefono. Che ora è, se ci sono messaggi, cosa è accaduto nel mondo. Si alza e puntualmente inaugura la mattina accendendo una papiroza e staccando nell’aria due fili di fumo. Poi strappa dall’agenda la pagina della data corrispondente alla giornata, le applica due centimetri di scotch e la affigge alla porta.
Sua nonna, con la quale aveva trascorso diversi inverni dell’infanzia in un villaggio della Kaluga, sarebbe orgogliosa di constatare che la tradizione familiare non è andata del tutto perduta. Di quegli antichi calendari dell’avvento Andrey ricorda più gli animali che i santi.
Alle quattro suoneranno al campanello e Andrey aprirà la porta blindata marrone, come se si trattasse del dono dietro la tendina del calendario. Il caso ha voluto che la data per abbandonare San Pietroburgo sia proprio Natale. Ci sarà tempo per svestire tutte le giornate che precedono l’avvento.
Si muove con lentezza, il tempo si scarta anche così. Non ha troppa voglia di guardare lo schermo e lascia scorrere gli occhi sull’appartamento. Il vuoto e la luce rendono più brillante l’alluminio insonorizzante disteso sulle pareti.
Si era lamentato con Dorefey. Perché non c’è un cazzo di niente nella casa? Un libro, uno stereo, una televisione, un elettrodomestico?
E da quando leggi? O ti prepari un frullato? C’è da mangiare per tutti i 24 giorni. E ti mandiamo la tua distrazione per dieci ore, ogni giorno diversa. Mi pare più interessante, no?
Andrey ha paura che una di quelle prostitute possa denunciarlo, si sentirebbe più tranquillo a tirar loro il collo una ad una, appena terminato il servizio. Ma non può uscire di casa per nessuna ragione al mondo, nemmeno per buttare la spazzatura, a parte che per i cadaveri non c’è la differenziata. Infatti i tre che ha ammazzato li ha lasciati nella camera d’hotel che occupavano.
Devi stare nascosto per un po’, gli ha spiegato Dorofey. Abbiamo alzato la posta, ti cercheranno dovunque. Ti sistemiamo noi in un posto sicuro.
A suonare alla porta il 3 è Tatiana. Andrej stacca il foglio dell’agenda prima di aprire. Tatiana indossa un finto visone, ha il trucco sbavato su una guancia, gli occhi color cobalto, lo smalto perlaceo sulle dita delle mani e, come poi Andrej scoprirà, anche su quelle dei piedi. A letto sventola il culo come la bandiera di un’ambasciata.
Il 9 Alyona entra senza degnarlo di uno sguardo, piantato nel nulla che le si spiana dalla stanza d’ingresso. Porta una piramide sotto i tacchi, denuncia una correzione di chirurgia estetica sul vermiglio delle labbra, indossa un abito fucsia inverosimilmente sottile, considerando che fuori ci sono almeno sei gradi sotto zero. Si mostra capace di fingere un fremito di convinto piacere quando Andrey le grugnisce i suoi orgasmi, e di tenere l’aplomb quando le crolla in grembo sfinito.
Il 18 Sofiya posa di mala lena le frange lunghe della frusta sulla schiena di Andrej che di scatto gliela leva di mano, la spinge all’indietro e per offrirle un modello d’azione vibra un colpo secco e deciso sulle sue tette.

Il calendario ha una sagoma esagonale e occupa l’intero spazio nella grande sala del Moca di Toronto. In questo momento è l’attrazione del museo di arte contemporanea, e persino una tappa obbligata per i turisti. Misura novantaquattro metri quadrati ed è alto sei, è un intarsio di cedro rosso canadese, mogano delle Antille, tek delle foreste pluviali birmane, padouk dell’Angola, ramino indonesiano. Hayley Carson ha accuratamente scelto per la sua opera i legni degli alberi a rischio di estinzione, e ha rischiato per questo interdizioni legali e boicottaggi ambientalisti. Ma la sua onestà intellettuale è tanto cristallina quanto ascendenti sono la sua fama e quotazione. New York Times, Guardian e Art News l’hanno qualificato evento culturale dell’anno, una scioccante chiave espressiva della crisi ecologica.
Ciascun visitatore è libero di aprire la finestra corrispondente alla giornata. Troverà l’organo amputato di un esemplare in via di estinzione, verrà assalito dall’esalazione putrebonda corrispondente allo stadio di marcescenza di trenta carcasse di quello stesso animale mentre venti altoparlanti da trecento watt ciascuno spareranno nella sala un rimixaggio dei versi agonizzanti di tutte le specie contenute nelle ventiquattro caselle.
Nessuna casella del giorno precedente sarà disponibile alla visita il giorno dopo, distrutta personalmente dall’artista durante la notte. Per questo diverse migliaia di persone, provenienti da ogni angolo del globo, hanno scelto di soggiornare per l’intero periodo: godere il privilegio di entrare in contatto integrale con l’opera.
Hayley Carson è seduta sopra uno scomodo sgabello girevole (in legno ricavato dallo shorea del Bangladesh) che cigola ad ogni accenno di rotazione. Carson ha la testa appoggiata al muro. Non risponde alle domande di chi la riconosce e l’avvicina, non muta una piega agli angoli della bocca, simulando l’inerte passività della comunità umana dinanzi al sanguinamento del pianeta. La sua presenza muta aggiunge la sottigliezza della performance alla monumentalità dell’installazione.
A intervalli di un’ora ondate di aria torrida vengono sputate dai condizionatori e rendono impossibile trattenersi a lungo nella stanza. Hayley Carson però non abbandona il suo habitat morto e moribondo, e lo custodisce anche quando cala il buio e l’ultimo guardiano ha abbandonato l’edificio.
La finestra del 4 dicembre schiude la vista sulla zampa nera di un furetto dalle zampe nere.
Il 12 dicembre è la volta della pinna ventrale di una balena franca del Nord Atlantico.
Il 21 dicembre del becco di un’amazzone vinata del Paraguay.

Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia rupe e mia salvezza.
Mia roccia di difesa: non potrò vacillare
Ha appena aperto la casella del 3 dicembre. Scuote la testa. Lo stesso effetto di ieri.
Jacques Berthillon, curato della chiesa provenzale di Cadenet, sistema i paramenti sacri sopra l’abito talare e fissa ancora la frase sopra il calendario. Avrebbe voglia di sfogliarlo furiosamente per vedere se almeno uno dei passaggi biblici lo scuote dalla sua pena.
Come ogni mattina padre Berthillon, in attesa che giungano i fedeli che parteciperanno alla messa Prima delle sei e trenta, raggiunge l’organo e suona per qualche minuto. Esegue uno delle quarantaquattro petites pièces di Cesar Franck, accenna la messe solennelle n. 17 in do minore di Louis Vierne.
Perde il filo dell’omelia, e invece di inseguirlo taglia corto, bruscamente, lasciando sorpresi i parrocchiani. Sente, ma non ascolta, i peccatori al confessionale, e in un più di un caso si fa convincere, per stanchezza, ad assegnare una penitenza in luogo della pura e semplice assoluzione. Un ambulante che si disfa della mercanzia invenduta.
Il 6 dicembre legge sul calendario: Tutto ciò che è nascosto, e ciò che è palese io lo so, poiché mi ha istruito la sapienza, che è artefice di tutte le cose.
Quella stessa notta il desiderio della carne lo arde, e lo tormenta la memoria della piccola mano che ha trattenuto tra le sue qualche istante di troppo, il calore che gli ha diffuso lungo le vertebre.
Il 10 dicembre: Metti qua il tuo dito e guarda le mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato e non essere più incredulo ma credente.
Il 19 dicembre: Chi crede in me, come dice la Scrittura; fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno.
Cerca di rintracciare nella sua grafia una traccia di quel sé che era quando aveva selezionato e trascritte di pugno le frasi sul cartone, circondandole di contorni luminosi e schizzi di scene sante. Il calendario era rimasto affisso vicino nella bacheca all’ingresso, appena distante dal fonte battesimale, suscitando l’invidia degli altri catechisti. Lo aveva poi conservato, e nei momenti difficili gli era parso di trovare lì dentro quel senso che ora gli appare irrimediabilmente smarrito.
Erano passati trent’anni da quando Padre Stéphane si complimentò per il calendario e gli propose di venirlo a trovare più tardi dentro la sagrestia, promettendogli un premio.

Il 24 Corrado apre l’ultima finestra. C’è una foto in cui lui e F. si baciano appassionatamente l’anno prima sulla passeggiata di Torrefumo, lungomare di Procida. Si era inventato un viaggio di lavoro a Napoli, per prudenza F. lo aveva raggiunto con i suoi mezzi, poi avevano preso insieme l’aliscafo. Un paio di settimane dopo, Elisa gli aveva chiesto: “Sei mai stato a Procida?”. “Mai!” gli venne da rispondere d’istinto, ed ebbe la sensazione di arrossire. Elisa non aggiunse niente e tornò con la testa sulla rivista che aveva tra le mani. Avrà letto qualcosa di Procida lì sopra, si era detto Corrado. Qualche ora dopo provò a sfogliarla, ma di Procida non trovò traccia.

Il 24 Andrej apre la porta. Il proiettile silenzioso lo coglie in fronte, perforando il quarto ventricolo cerebrale.
Sofyia lo vede cadere all’indietro. Entra, si abbassa il bavero della giacca, si piega su Andrey per capire cosa stringe tra le dita, poi infila nella tasca un foglio staccato dell’agenda, quello stesso del 24. Chissà cosa doveva farci. Forse era davvero pronto a tradire, e comunque la polizia era ormai sulle sue tracce.

Compone il numero di Dorofey per avvisarlo che è stato facile, come previsto.
Il 24 il primo visitatore si rende conto con orrore che si tratta di un pollice umano, e che il sangue intorno si è appena rappreso. Sviene ancora prima che lo investano l’odore tipico della decomposizione di trenta cadaveri e il coro acuto e sguaiato dei viventi agonizzanti.
Hayley Carson, per la prima volta dall’inizio della mostra, si concede a un’intervista, ed esibisce il dito mozzo sulla mano sinistra. L’essere umano non sta giocando solo con l’estinzione delle altre specie, sta giocando con la sua, dichiara.
Si levano taglienti voci critiche: l’artista proprio sul più bello è ricaduta nell’antropocentrismo.
Alla mezzanotte, alla presenza del pubblico, alcuni assistenti di Hayley Carson demoliscono a picconate l’installazione, e uno scroscio di acqua dalle pareti sommerge le sue macerie.
Carson è la grande assente. Il prudenziale ricovero in ospedale non è dovuto né all’atto autolesionistico né alla stanchezza accumulata ma all’eccesso di esalazioni del monossido di carbonio prodotto dal riscaldamento.

Il 24 la perpetua lancia un grido entrando all’alba nella sagrestia.
Il vecchio Padre Stéphane, ormai privo dei voti e degente paralitico in una casa di riposo gestita dalle suore, ascolta la notizia in televisione e sputa per terra. Oggi si dovrebbe rappresentare la nascita di Gesù, non il suicidio di Giuda, tuona.

Il 24 il fisico quantistico Dieter Lang, un lontano discendente di Gehrard Lang, l’editore protestante che inventò il calendario dell’avvento nel 1908, sta tenendo a Brema una conferenza stampa riguardante l’esperimento che ha deciso di intraprendere.
L’errore di fondo è che i countdown, sostiene, non dovrebbero essere compiuti procedendo avanti con i giorni ma percorrendoli all’indietro. È questo tipo di dissimmetria che scompagina l’equilibrio degli eventi, ed è un fenomeno molto più frequente di quanto si percepisca, afferma. Prendete il calendario dell’avvento. Anche se in teoria i giorni vengono esposti in sequenza ascendente, si tratta di una tipica situazione di attesa nella quale il tempo considerato è quello che manca, e quindi il conteggio viene implicitamente effettuato per sottrazione. Ma in questo modo la congiunzione tra la fine dell’attesa e l’evento non sarà mai possibile. Invece dell’attesa nascita, in molte situazioni, si verificherà una morte. La speranza cederà sempre il posto alla disperazione.
Così, annuncia, da oggi comincerò ad attendere il primo di dicembre già trascorso.
Al termine firma le copie del suo best seller e si incammina di buon passo verso il 23, dopo avere divelto la porta del 24.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2022-01-27T21:34:28+01:0017 Dicembre 2021|12, Limite di velocità|

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