Le recenti discussioni sul catcalling sono un colpo di clacson: un richiamo all’attenzione su comportamenti che riguardano l’offendere e il sentirsi offesi, cioè su una materia di assoluta attualità che spesso genera reazioni di opposta ma speculare passionalità e semplificazione argomentativa. Si può immaginare, e auspicare, di combattere il catcalling facendone un reato, come già in Francia e in altri paesi? Proviamo a fare un ragionamento articolato e che procede per gradi (e dunque chiede la pazienza di essere seguito sino alla fine).
Intanto, cos’è il catcalling? Ci si muove tra definizioni troppo monolitiche e precostituite (del tipo: è una molestia per strada. E grazie! Ma qui si tratta prima di capire quale condotta debba considerarsi molesta) oppure sgangheratamente eterogenee (comprendendo insieme il commento non richiesto sull’aspetto fisico e l’inseguimento, quindi in teoria accorpando “signorina, mi ricorda una mia bellissima fidanzata” e l’apparente preludio a un’aggressione sessuale). Optiamo dunque per classificarlo come un insieme di approcci eccedenti l’urbanità rivolti da uno o più uomini a una donna, verbali e non, per lo più esplicitanti o marcatamente sottintendenti che la stessa è degna di una fantasia erotica o di un amplesso.
Tale favorevole prospettazione dell’uomo osservante è la base della linea difensiva per la quale si tratterebbe solo di complimenti (seguono vari corollari: guardate che a tante donne migliorano l’umore, ben venga quel briciolo di esuberanza nel tristo perimetro delle vite bigie, poi non ve la prendete se i ragazzi maschi di oggi non scopano e non sanno come avvicinarsi a una donna ecc.). In realtà i complimenti sono una cosa diversa, si tratta di asserzioni volte a gratificare disinteressatamente l’animo di chi le riceve. “Proprio una bella macchina ti sei fatto!” detto da qualcuno con la giacca di pelle appoggiato al muro, che è lì sotto casa mentre parcheggi la Rover, di solito non è un complimento ma la considerazione di qualcuno che non te la riga né ti ficca nel portabagagli per sequestrarti solo perché ci sono dei testimoni. Quando si tratta di un vero complimento, non necessariamente stilnovista e dunque congruo con gli strumenti culturali del complimentante, ma comunque affine a quel che si potrebbe dire a una persona per lodarne l’intelligenza o la premura per il prossimo (quindi, ad esempio, non toccandosi il membro o suonando il clacson) direi che siamo fuori dalla nostra area di indagine. Si potrà dire che non è stato richiesto, ma questo commento riportato alla strada è un’assurdità. Il novanta per cento di quello che ci capita in strada accade prima che noi possiamo esprimere il nostro consenso, e non per questo è sanzionabile. Va da sé che se una donna mostra di non gradire l’interazione, e quello insiste, si passa a uno stadio differente.
Un’altra linea di difesa dell’atteggiamento, più squisitamente giuridica, è che in linea di principio e se non c’è un contatto fisico o una minaccia, una persona non può considerarsi molestata per un unico e veloce incontro sgradito. Se la guardiamo però dalla prospettiva della donna avvenente che ne subisce sette in quaranta minuti il livello di disagio è analogo, e il suo benessere è ciò che si vorrebbe proteggere.
Si potrà allora opporre: ma non ricadiamo in una di quelle deformazioni del politicamente corretto che stanno dilagando negli Stati Uniti? Quell’iperprotettivismo per il quale vediamo traumi dovunque, e vogliamo preservare da ciò i ragazzi invece di addestrarli alle esperienze di disallineamento culturale di fronte a cui la vita inevitabilmente li porrà? Ma alla base della richiesta di punire penalmente il catcalling c’è l’idea che un mondo in cui gli uomini fischino dietro alle donne o gridino loro che hanno un bel culo non è il necessario approdo delle esperienze future, bensì esattamente il mondo che le donne (e anche parecchi uomini) vorrebbero mutare.
Che certe condotte, inizialmente tollerate o addirittura promosse, siano in seguito considerate offensive e infine giuridicizzate non è un processo inedito, e anzi ha segnato una notevole civilizzazione dei costumi: così è stato per lo stalking o le violenze domestiche. Non è intrinsecamente peregrino ipotizzare che anche l’approccio per strada possa seguire una china identica. Non in astratto, almeno. In concreto, invece, la questione è un po’ più complessa.
Intanto, c’è il rischio di soffermarsi sui comportamenti meno invasivi. Quello che strimpella il clacson dopo sei secondi dista duecento metri e quello che fischia al quinto passo di cammino è già più lontano. Ma se aspetti l’autobus, e un tizio prende a fissarti? Poche cose sono aggressive quanto fissare qualcuno (e infatti ogni tanto ci scappa il morto). Certo, se quello si piazza lì solo per fissare la stessa donna tutte le mattine ricadiamo diretti nel già esistente reato di stalking. Ma se lo fa quel giorno, per quel quarto d’ora, che gli vuoi dire, almeno in termini giuridici? Sarebbe ridicolo, per la vittima stessa, immaginare un processo dove il tizio ribatte che, roba da matti, pensava ai fatti suoi, e tecnicamente sarebbe impossibile provare il contrario. Per riflettere sulla complessiva difficoltà probatoria è utile sapere che in due dei paesi che hanno introdotto una norma sanzionatoria, il Portogallo e la Finlandia, dopo tre anni le multe inflitte erano rispettivamente zero e trentuno.
Ma sarebbe poi davvero il caso di intasare ulteriormente i tribunali? Quando si proclama che si esige la trasformazione di questo o quell’altro in reato ci si mostra egoisti verso le persone che già ora – prima che si moltiplichino le chiamate in causa per altri e nuovi reati – attendono anni e anni per ottenere l’esito di un processo riguardante un fatto gravissimo, magari un omicidio, una rapina, uno stupro.
Come dicevo, ci sono comportanti un tempo leciti che oggi sono qualificati reati, ma perché non si finisca nel totalitarismo ci deve sempre essere un livello di condotta affine per il quale si possa dire: “Ma no! Qui la persona ha tutte le ragioni per offendersi, però non è un reato!” (un esempio vero che rende plasticamente l’idea è la causa per mobbing, intentata e persa, dall’unica dipendente che non era stata invitata alla cena aziendale). Quando si pretende di sanzionare tutto quel che è offensivo, ci si avvicina pericolosamente all’abolizione del confine tra diritto e morale, che è stata piuttosto una conquista della nostra civiltà e che permane semmai nelle teocrazie.
E allora? Bisogna lasciare le cose come stanno? Per rispondere, partiamo dalla norma francese, introdotta nel 2018, riguardante le molestie di strada. È interessante ricordare come lo spunto (diciamo la goccia finale che ha fatto traboccare il vaso) sia stato un episodio in cui una donna aveva mandato a quel paese uno che le aveva schioccato la lingua e quello poi l’aveva schiaffeggiata e ferita con un posacenere, davvero qualcosa più che una molestia. E non secondario rammentare che la legge (applicazioni pochine) ha incontrato diverse critiche, fra cui quelle di un’associazione femminista musulmana che ha denunciato il pericolo di una stigmatizzazione etnica e una schedatura razziale o della stessa associazione che si chiama appunto Stop harcèlement de rue (Basta molestie in strada), che l’ha considerata una scorciatoia rispetto a una serie di misure volte alla “prevenzione, educazione e formazione volte a restituire alle donne lo spazio pubblico”.
Bisogna intanto domandarsi: cosa spinge a molestare una donna? Non credo il desiderio di rimorchiare, visto che di solito l’approccio non funziona (o, se funziona immediatamente, perde sul nascere la caratteristica di molestia). Sovente si risponde che è la manifestazione di un senso di possesso sulla femmina, una sua oggettificazione. In molti casi, la molestia avviene davanti a un pubblico di altri uomini, e incornicia una delle forme di competizione territoriale tra loro, usando la donna come strumento. Non diversamente dagli insulti, che per una buona quota sono sessisti, cosicché una disputa verbale tra uomini viene intrapresa dicendo male della mamma dell’altro. Ma non attaccheremmo il problema alla radice se considerassimo un crimine l’insulto son of bitch.
Veniamo così alle soluzioni. Per alcuni dei casi più macroscopici di cui si parla, senza bisogno di arricchire il codice penale, basta ricondurli all’esistente articolo 660 del codice penale che concerne “molestia e disturbo alle persone”, come ha già cominciato a fare la giurisprudenza (sia pure forzando un po’ la mano, perché il bene di partenza tutelato dalla norma sarebbe l’ordine pubblico e non il sentimento individuale). Altre, egualmente gravi, potrebbero essere ricomprese nell’articolo 612 del codice penale con una piccola integrazione del testo attuale che regola lo stalking dichiarando punibile “chiunque, con condotte reiterate minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante o grave stato d’ansia o di paura ovvero di ingenerare un fondato timore per l’incolumità (omissis)” che potrebbe diventare “chiunque, con condotte reiterate anche in un brevissimo arco di tempo minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato d’ansia, di paura o di umiliazione…”. Sarebbero in tal modo incluse le condotte veramente gravi, insistenti e quelle che sono a rischio di escalation. A parte sarebbe da considerare il caso della minorenne, verso la quale l’approccio sessualmente orientato di un estraneo adulto dovrebbe sanzionarsi, qualunque sia il livello che lo contraddistingue. Sarebbe infine interessante considerare la provocazione sessuale come un esimente di reato della reazione, purché questa non sia troppo sproporzionata. In altre parole, se una donna reagisce rompendo una costola al molestatore non è perseguibile (ma se gli tira una coltellata sì, salvo che non fosse in corso una minaccia fisica). Infine, per certe situazioni collettive andrebbero previste delle aggravanti. Se penso a dei muratori che stanno sotto al sole da cinque ore riesco a inquadrare psicologicamente, e tollerare, che entro certi limiti sbrachino; se penso ai militari di una caserma la trovo un’onta inaccettabile per tutto il corpo (quello cui appartengono, intendo).
Il vero salto culturale, però, non dipende né dalla legge né dalle donne, bensì dagli uomini, quelli che non si riconoscono in questo modo di rapportarsi alle donne e che dovrebbero collettivamente e pubblicamente qualificare gli strombazzatori e i molestanti come segaioli, quali in effetti sono.
Comunque che Er Faina, lo youtuber che aveva pressappoco incitato alla molestia da strada, abbia perso di botto 300.000 follower è già un buon segnale.
Photo credit immagine in evidenza: Ruth Orkin – 1951
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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