Sono efficaci i corsi di lettura veloce? Esistono delle tecniche seguite da molti, ma Beniamino Placido giustamente osservava che il modo migliore per leggere velocemente rimane avere letto molti libri. Aggiungerei che l’ideale è averne letti lentamente, addestrando cioè la capacità di scendere in profondità nei significati, che ritorna buona quando si tratta di passare sulle righe a volo di uccello. La lettura, tuttavia, è un buon esempio di come la contrapposizione pura e semplice fra velocità e lentezza non dia conto, da sola, di un valore e disvalore. Sulla lettura ricordo invece di avere ascoltato una bella riflessione di Roberto Calasso che individuava la qualità del buon lettore nel costante cambio di velocità: divorare le pagine che chiedono solo di essere comprese e conducono a quelle successive, affondare dentro un rigo che invoca o ingiunge di sequestrarci. Un lettore insomma che accelera o anche decelera. Ma è palese nella posizione di Calasso che l’accelerazione serve infine a provare il brivido della decelerazione.
Come si giudica se un’epoca si è distaccata da quella una precedente? Le risposte offerte dalle scienze sociali sono state diverse: dalla libertà degli individui, dalla quantità di merci, dalla misura in cui la razionalità modella le istituzioni sociali. O anche dalla dimensione della crescita economica. Secondo il filosofo tedesco Hartmut Rosa, invece, la forma delle modernità è l’accelerazione. Ne esistono tre forme: quella tecnologica (il tempo divora lo spazio), quella dei mutamenti sociali (le esperienze, come forma di conoscenza, divengono rapidamente usurate e le strutture sociali perdono stabilità), quella del ritmo di vita (svolgiamo sempre più attività in meno tempo). E’ evidente come la somma di queste tre accelerazioni determini in via quasi esclusiva le nostre condizioni di vita.
“Il soggetto moderno è strettamente regolato, dominato e oppresso da un regime temporale per lo più invisibile, depoliticizzato, indiscusso, sottoteorizzato e inarticolato. Questo regime del tempo può essere di fatto analizzato sotto un unico contesto unificante: la logica dell’accelerazione sociale”.
In altre parole, poco conta trovarsi (entro certi limiti) trovarsi sotto un regime politico piuttosto che un altro, in termini di libertà. Gli effetti più costrittivi derivano dalla necessità di essere al passo con i tempi, e cioè di accelerare. E’ un dato che viene assunto come acquisito, reso quasi fisiologico dalle tecnologie digitali. Mentre prendono piede movimenti che contestano la crescita in nome di una decrescita felice, l’opposizione all’accelerazione in nome di una decelerazione felice rimane nell’ombra.
Avevo già scritto qui dei danni che producono velocità tra loro concorrenti. Vorrei ora porre la questione nella prospettiva dell’accelerazione, quel fattore per il quale ogni volta che si può incrementare la velocità è giusto farlo. Vorrei però occuparmene non in termini saggistici, e solo porre cinque suggestioni per una rivolta contro l’accelerazione. Un pentalogo, diciamo così. Giusto come base programmatica.
Decelerare i processi di decisione collettiva. L’accelerazione finisce per ingolfarli, renderli meno trasparenti e meno stabili. Il tempo che si guadagna con un sistema di decisioni accelerato è quasi sempre restituito con quel che si perde nei correttivi. Non lasciare incancrenire le necessità di riforme: legarle a un termine, che viene assunto come inderogabile, ma che non sia troppo vicino, che non sia dettato dall’emozione sociale transitoria o dall’isteria, che comprenda il lasso di tempo per monitorare le simulazioni e per preparare la comunità a gestire i conflitti che da una riforma sempre deriveranno.
Decelerare la corsa degli adolescenti verso il loro futuro. Che non abbiano fretta di confonderlo con il presente. Che abbiano veramente il tempo di imparare cos’è il tempo. Che vuoi che sia un esame in ritardo se lo scambi con quella notte che poi? Che non dimentichino come si aspetta l’alba. Che non abbiano fretta di diventare stronzi come gli adulti.
Decelerare la risposta agli stimoli. Concedere al desiderio il tempo di desiderare. Non farsi dettare le azioni dal caso, dal “sistema”, dalle proprie debolezze, da quel che c’è disponibile. Non impiccarsi agli automatismi.
Decelerare come forma di disciplina. Per principio, per raccordo di sé, per igiene, per contrastare l’ansia, per allenarsi a dire no. Una volta alla settimana almeno imporsi un giorno in cui si decelera rispetto a quello corrispondente della settimana prima. Almeno tre volte al giorno sedersi per dieci minuti davanti al mare, anche se non c’è il mare.
Decelerare nella comunicazione. Non avere fretta di alimentarla ad ogni costo e neppure di spegnerla per seguirne una nuova. Prendere tre parole di una conversazione e leggere cosa significano nel vostro vocabolario. Differire la parola cattiva fino a che non siete certi che debba slanciarsi selvaggia. Portare una spiegazione importante ai tempi supplementari. Quando vi arriva addosso la parola che aspettavate non accelerare per confermarla, ma solo tenerla stretta, giusto per essere sicuri che sia ancora lì.
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