A cosa dovremmo ispirare la nostra condotta etica: alla tutela dei principi o alla valutazione delle conseguenze? Questo dilemma, che attraversa costantemente la vita quotidiana anche di chi non lo riconosce in questa forma, è di profonda attualità pubblica riguardo alla posizione che l’Occidente deve assumere rispetto alla guerra in Ucraina, specialmente per quanto concerne l’invio delle armi.
La condotta morale consiste nell’inchinarsi al principio assoluto della pace, e quindi non armare nessuno dei contendenti, oppure nel valutare le conseguenze dell’escalation verso altri paesi che la vittoria dell’aggressore potrebbe produrre, e intervenire a sostegno dell’invaso? O, formulando la domanda da una differente prospettiva: la condotta morale è la difesa attiva del principio di soccorrere la vita altrui minacciata con la violenza e l’autonomia sovrana di uno stato, oppure stare un passo indietro per evitare che la violenza deflagri ulteriormente, magari in un conflitto nucleare? Come potrete rendervi conto dai due modi in cui ho esposto le domande, l’etica dei principi e l’etica delle conseguenze sono due brutte bestie, e anche potenti armi retoriche: mi è stato semplice ribaltarle e offrire a entrambe le posizioni riguardo all’Ucraina l’ombrello etico sia dell’una che dell’altra etica.
Persino Max Weber, l’inventore teorico di questa distinzione, ebbe una certa difficoltà a maneggiarle. Nella conferenza tenuta a Monaco nel 1919, che sarebbe diventata il testo “La politica come professione” distinse tra gesinnunngsethisch e verantwortungsettish, la cui traduzione probabilmente più corretta è, rispettivamente, “etica delle convinzioni” ed “etica della responsabilità”. Ho qui preferito una traduzione alternativa (adoperata anch’essa), che mi pare meno equivoca: “principi” invece del più neutro “convinzioni” chiarisce che ci si sta riferendo a una posizione valoriale, mentre il difetto di “responsabilità” è che sembra decidere in partenza la sfida, come se sottintendesse (cosa che Weber nega all’inizio del suo ragionamento) che chi dà la precedenza ai principi agisca irresponsabilmente.
La distinzione, in politica, prende valore soprattutto su uno sfondo polemista. Quarant’anni fa il richiamo all’etica delle conseguenze venina brandito contro i comunisti occidentali, per svalutarne la supponenza nell’evocazione dei principi contrapponendogli la contabilità dei morti che era costato il tentativo di realizzare quell’ideale di eguaglianza. Lo stesso Max Weber aveva di mira i socialisti rivoluzionari in quei “tempi di agitazione”. Ma quando dico che persino lui faticava a maneggiare il concetto, intendo che dopo aver lasciato supporre la preferenza dell’etica identificata con la responsabilità (quella che decide in previsione delle conseguenze), conclude affermando la necessità che le due visioni si congiungano, e così siccome “la politica si fa con le testa ma non solo con quella (…) quando si debba ricorrere all’una o all’altra non si può prescrivere ad alcuno”.
Naturalmente che una società sia popolata da individui che si dividono fra le due etiche è già un lusso, e non esattamente di questi nostri, altri tempi di agitazione. Di sicuro i no vax non agiscono in modo conforme all’etica delle conseguenze o della responsabilità: in un primo momento perché mettevano direttamente in pericolo l’incolumità altrui, in un secondo per via del più elevato rischio di intasare le terapie intensive, a detrimento dei portatori di altre patologie. Ma è difficile considerarli fautori di un’etica dei principi, nonostante la confusa evocazione della libertà: sono una minoranza i casi di no vax con una storia di militanza per la libertà, e temo ancor meno quelli che sposerebbero in tutte le altre circostanze l’etica dei principi, se questa portasse a conseguenze che gli arrecano danno. Egualmente, nelle posizioni pacifiste occorre distinguere tra i militanti delle associazioni di volontariato – che sono effettivamente assertori di un’etica dei principi, e devono essere affrontati ed eventualmente confutati sul piano ideologico – e quelli che dietro il pacifismo da poltrona (non sono a Kiev a fare barriera con il corpo ai tank russi) celano la simpatia per un regime dispotico o la pavidità o l’egoismo o, quando si tratta di persone più esposte, occupano uno spazio mediatico che li rende più visibili. Oppure non sanno di cosa parlano.
(Questo non vuol dire che il problema russo-ucraino abbia una sola risposta: si può essere entrambi fautori di un’etica delle conseguenze, o entrambi di un’etica dei principi, ed essere in disaccordo – come ho mostrato negli esempi all’inizio – sia sui principi che sulle conseguenze).
Personalmente, sono assillato dalla parola “responsabilità”: mi pare che essa attraversi oggi un’epoca critica sotto diversi profili, e penso che ciò sia causa di buona parte dei torti e delle sofferenze, e che urga un grosso impegno intellettuale per comprenderla (è meno semplice di quel che appare) e trasmetterla. Se però parliamo di radici dell’etica, queste non affondano nel pensiero di chi fa bene i calcoli (e quindi è in grado di misurare le conseguenze del suo agire) ma nel pensiero di chi agisce senza fare troppi calcoli, perché è disposto a compiere azioni che rechino vantaggio agli altri invece che a lui. Non a caso nel linguaggio comune si usa definire responsabile uno studente che fa bene i compiti o un lavoratore che mette da parte i soldi per la vecchiaia, nonostante si tratti di attività che giovino a lui soltanto. È invece implausibile parlare di principi che si risolvono nel proprio tornaconto.
(Diversi anni fa, alcuni titolari di cariche nell’ordine della professione giuridica che esercito difendevano le ragioni di una tariffa alta come ragione di principio. Ci sono valide ragioni conseguenziali per la tutela di certe tariffe, ma se sei quello che ne beneficia in prima battuta non puoi presentarla come una questione di principio. Battersi per un principio presuppone battersi per qualcosa che non migliorerà, almeno non necessariamente, la propria posizione, e anzi potrebbe peggiorarla).
L’etica dei principi pare sollecitare avversioni più virulente: ci si scanna per i principi. In realtà, l’esperienza mostra che ci si scanna soprattutto in assenza di principi, sia pure divergenti. È tuttavia fuori dubbio che l’etica delle conseguenze sia meno cruenta, anche perché meglio disposta al compromesso. Se però i principi che si confrontano, di solito, sono due per volta, il campo delle conseguenze è perpetuamente diramante e sfilacciato. Un’azione che giova ai nostri familiari potrebbe nuocere alla comunità, e una a favore della comunità potrebbe essere dannosa per il pianeta, e la stessa azione potrebbe salvare vite oggi e condannare quelle di domani (si pensi al classico caso della fabbrica che distribuisce lavoro ma inquina). Semplicemente scegliere tra il marito e l’amante farà soffrire uno dei due. L’etica della responsabilità impone a ogni piè sospinto di scegliere quale conseguenza negativa accettare: a quel punto, se rimane sul piano etico, la decisione finale sarà dettata dai principi.
Viene istintivo collegare i principi alle passioni, ma se un difetto, in conclusione, grava sull’etica dei principi è proprio la frequenza con cui essa scade nella freddezza. Vi prego di non leggere alcun senso geopolitico in questa citazione, ma rende troppo bene l’idea per trascurarla. Ne L’immortalità Milan Kundera, criticando il trasporto dei francesi per i principi astratti, contrappone la Francia, terra della Forma, alla Russia, terra del Sentimento “dove gli uomini avvicinano agli uomini le labbra protese al bacio, pronti a sgozzare chi rifiuta di baciarli”. Ma il sentimentale assassino troverà almeno duecento avvocati francesi pronti a difenderlo, non per una forma di pietà ma in nome di un principio astratto. “Questo l’assassino russo non lo capisce, e una volta libero si precipita dal difensore francese per baciarlo sulla bocca. Il francese arretra sgomento, il russo si offende, gli ficca un coltello in corpo e la storia ricomincia”.
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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