Incrociamo le vite

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Racconto

Mio padre fa il giocoliere ai semafori. Con la mamma abbiamo sgranato gli occhi quando il lancio vorticoso dei birilli è cessato lasciando nudo il volto che ora tendeva la bombetta rovesciata verso i finestrini. Lei è scesa dell’auto, gli inveiva contro, ma il rumore dei clacson delle macchine inchiodate in fila dietro la nostra copriva la sua voce, ed è stato come se alla giocoleria si fosse aggiunto l’ulteriore anacronismo di un film muto. Non avevo bisogno di ascoltare per conoscere i pezzi della sfuriata: sparire così, non hai più versato gli alimenti per tua figlia, che vergogna per me se qualcuno ti vede ridotto così, come avvocato eri miserabile però un posto da impiegato potevi trovartelo. Quando il fragore è diventato intollerabile si è arresa, è risalita in macchina e ripartita sgommando, senza rendersi conto che mi aveva lasciato a terra. Mi ero piantata sulla linea di mezzeria come se dal mio attraversamento dipendesse la verità di quella scena inattesa. Mio padre mi è venuto incontro, ha posato i birilli e il cappello per terra, mi ha abbracciato silenzioso. In principio ero rigida ma non mi sono sottratta, la mia giacca larga sfiorata un paio di volte dagli specchietti retrovisori. Quando il semaforo è tornato rosso ho avvertito una tensione nel suo corpo, come se il dovere lo richiamasse, e allora ho ricambiato l’abbraccio, l’ho stretto, ho singhiozzato, e qualche automobilista è sceso della vettura per premiare con una banconota nella bombetta quel numero originale, il giocoliere che rimane avvinghiato con la figlio nel mezzo dell’incrocio, e nessuno li investe. Solo un birillo, sfiorato da uno pneumatico, è rotolato di qualche metro, e una signora ha accostato di lato, lo ha raccolto e deposto alle nostre spalle con la cura di un ornitologo che ripone dentro il nido l’uovo caduto e miracolosamente intatto.

Ad Antonio non gliene frega niente che a nessuno gliene freghi niente di lui, che nessuno lo cerchi, si contenta di quel palco al teatro, sull’incrocio succedono sempre cose interessanti ed è imperdibile osservarlo dal balconcino del sesto piano, le berline che sfrecciano, le liti dopo i tamponamenti, la gente che attraversa in massa e qualche volta ci scappano pure l’incidente e l’ambulanza. Antonio si piazza dal mattino al suo tavolino dove poggia il caffè, e più tardi l’acqua, ma non troppa se no la notte gli scappa da pisciare, e poi si comincia col vino sfuso e le tartine alla Simmenthal che si prepara. A volte ci piazza la fetta di pompelmo, come fanno nei bar che non frequenta più ma lo sa che ora fanno queste cose strane. Il baccano non lo disturba, gli fa compagnia. Non viene nessuno a trovarlo ma se si sentisse male, ne è sicuro, basterebbe dare una voce dal balcone a quelli in macchina che sfrecciano sotto e qualcuno di sicuro lo verrebbe a salvare.

Saverio ha preferito non portarsi l’orologio, così non si sarebbe fatto prendere dall’ansia perché lei era in ritardo. Si sa che chi ama ha una concezione distorta del tempo quando attende all’appuntamento, e anche se gli sembra di essere lì da due ore può rassicurarsi pensando che è tutta un’illusione, saranno trascorsi due giri di clessidra, dieci minuti, una vasca di piscina, lo spazio di intervallo tra due corse di metropolitana, il disfarsi di una goccia sospesa nel rubinetto, l’assalto fulmineo del predatore, una canzone dei Maneskin. Non si è portato nemmeno il cellulare, intanto perché segna l’ora e poi perché così Alina non può sottrarsi chiamandolo o mandandogli un messaggio. Assurdi quelli che non si presentano, e poi pretendono che è colpa tua perché senza cellulare come ti avvisavano. Ma perché Alina non dovrebbe arrivare? Non sono passate due ore, e se sono passate Saverio non lo sa, ed ha ancora tanto tempo per mantenere la promessa fatta ad Alina. Ci vediamo all’incrocio tra mezzora. E se arrivi anche un minuto dopo, aspetto che ci sia il verde e mi butto sotto al primo che arriva tutto sparato da lontano.

Che poi questa storia che i giocolieri preferiscono i semafori rossi lunghi a me non convince tanto. Le persone sono disposte a dedicarti venti secondi, ma se sanno di avere a disposizione due minuti con il rosso si organizzano, mandano messaggi, scendono dall’auto per prendere qualcosa che avevano lasciato nel portabagagli e adesso gli torna utile, se avessero il fornello appresso si cuocerebbero pure due spaghetti. La gente non sa più che farsene dell’attesa. E i giocolieri dopo un po’ ricordano loro che stanno lì al semaforo a fare un cazzo, a perdere tempo, e questo li innervosisce e sembra che sia anche colpa dei giocolieri se il semaforo non passa al verde. Le ho spiegate questa cosa a mia figlia, dopo l’abbraccio stavamo lì senza dir niente e avevo paura che mettesse in mezzo domande e discorsi troppo ingombranti per una carreggiata, carichi pesanti, e allora ho cercato di condividere le preoccupazioni del mestiere. Tu che ne pensi, meglio i semafori corti o quelli lunghi? E lei ha detto perché non lo chiedi ai tuoi colleghi. Io ho fatto finta di non cogliere il tono amaro. Le ho risposto che non mi ci trovo bene coi colleghi, uno pensa chissà che degli artisti di strada ma specie se li metti in gruppo non è che sono meno stronzi degli avvocati. E mia figlia mi ha rivolto un sorriso tenero e si è allontanata, devo andare a studiare, te lo ricordi? ho la maturità quest’anno, e non ho saputo cosa pensava, a parte la maturità. Anche questi in macchina mi piacerebbe sapere cosa pensano uno per uno, ma se davvero fossi capace di leggere nella loro testa la distrazione sarebbe fatale e farei cadere i birilli.

Cazzo guardi? Mi sono fermato, no? Che devo fare, pagarti da bere?

Tonno, sapone per piatti, pere, parmigiano…cristo, avessi da scrivere…tonno, sapone per piatti, pere, parmigiano

Guarda questo coglione, tutta quella corsa come fosse Hamilton, e adesso sta qui a fianco, attaccato allo stesso semaforo a cui sto attaccato io

Non ti devi permettere figlio di puttana, non ti devi permettere figlio di puttana, non sto urlando, non

Mi fiir is feding feest biin sevig idall foriu’

 

Gloria è convinta che questa sia la prima vera prova della sua non-ancora vecchiaia. Le strisce pedonali sono il corrispondente della patente per i ragazzi. Lì devi imparare a guidare, qui dimostrare di essere ancora capace di attraversare. Diversi passanti che la vedono lì impalata si offrono di aiutarla ma lei cortesemente declina. Sto solo aspettando un’amica, mente. Chiede l’ora a un tizio che sta anche lui piantato all’incrocio, pure se non sembra affatto anziano. Quello risponde seccato che non la sa, l’ora. Ce n’è di gente strana. Gloria pensa che deve proprio decidersi, Ionita si sarà ormai accorta che se l’è svignata, si sarà messa sulle sue tracce. Ma lei non ha bisogno di una badante, come non ha bisogno di nessuno che l’aiuti ad attraversare la strada.

Sai quanta benzina in più in una giornata avremmo speso se al volante ci fosse stato un umano con le sue sgasate e gli spazi di frenata tardivi? Ottimo Alfa Sei, anche ecologica sei. Alfa sei ecologica sei, potrebbero farci uno spot sopra. Non sono affari miei comunque, mi basta già il lavoro di ingegnere. Avrei voglia di schiacciare un pisolino, già mi mette sonno seguire il rilevatore, ci si mette pure il giocoliere, diventa problematico resistere. Sin qui i dati sono tutti perfetti. Dovranno rassegnarsi gli uomini a mollare il volante, fine degli incidenti stradali e ne guadagna il relax. Imposti la destinazione e tanti saluti. Eh lo so Alfa sei, la terra dagli umani non la possiamo sgombrare e qualche accidente capiterà pure a te. Tutti ne discutono: come si regolerà l’auto quando si tratterà di scegliere chi tirare sotto, perché per cause indipendenti dal suo buon funzionamento dovrà fare qualche vittima? Quelli meno numerosi? Quelli più anziani? Che discorsi puerili. Il numero! E allora c’hai cinque punkabbestia da un lato e due virologi dall’altro, e fai fuori i virologi? L’anzianità! Spiegami, per caso Mattarella si sbaglia e attraversa col rosso, oppure un terrorista gli ha dato uno spintone, e tu fai fuori il presidente della repubblica invece dei due terroristi che scappano o il sesto bambino di una coppia che già gliene hanno tolti due gli assistenti sociali? Ma andiamo! E come dicono quegli altri? Prima le donne e i bambini! E certo, sta andando a fondo la nave. Puah! Siamo nel ventunesimo secolo, sei nel ventunesimo secolo Alfa sei, e questi ancora ragionano come nell’Ottocento, nemmeno nel Novecento, perché lì, durante le guerre più truci, le donne e i bambini erano i primi che sterminavano. A parte che oggi si incazzerebbero pure i queer per una roba così. Il valore sociale, è quello che conta, Alfa sei. Sarà pure un casino determinarlo ma non possiamo sottrarci a questa sfida, io ti sto impostando così e il capo mi sta seguendo, per fortuna. Questo sì che sarebbe un bel salto di civiltà, oltre che una tutela del prodotto interno lordo. Magari con una preferenza indicativa per il guidatore, visto che se è in grado di pagare una macchina così un po’ di valore sociale deve averlo. Ma di questo ci preoccuperemo poi. Ah, meraviglia. Neppure uno scossone.

Chissà se l’orlo del baratro seduce e risucchia quanto il centro della strada nel momento in cui sfrecciano le macchine. Vedono il verde da lontano e si sentono i padroni del mondo, accelera accelera prima che passi l’attimo. Lo fanno persino i camion. Sì, un camion sarebbe perfetto, però andrebbe bene anche un suv. O forse una fuoriserie decapottabile, i loro guidatori considerano ogni frenata una perdita di status. Come diventa il corpo frantumato dall’urto? Forse dovrei farlo anche se Alina arriva, tanto se davvero accade sarà per dirmi che è davvero l’ultima volta. Sfilarle dal braccio il potere dell’addio, offrirle questo spettacolo conclusivo quando si presenta insieme alla sua arroganza dall’altro lato della strada. E’ inutile che ti disturbi ad attraversare. Sentire la spinta nel fianco, la faglia delle ossa, il sangue disperso nel cervello. Magari per un attimo si vola sopra il corpo e hai modo di vedere la faccia di quelli chini sul tuo cadavere, la faccia di Alina che si pente.

Il vigile è alla sua prima direzione del traffico e ci tiene a far bella figura. Non era previsto che fosse oggi ma è venuto fuori che c’era un problema al semaforo, rimaneva bloccato sul verde, questione di poco e lo riparano ma intanto vai. Non gli hanno dato neppure una piattaforma, è accaduto tutto di corsa, spera bene che lo vedano, lui ha sempre avuto il complesso della statura e Dio solo sa se gli gioverebbe oggi qualche centimetro in più, confida che si notino e lo distinguano la divisa e il cappello. Gli hanno raccontato che una decina di anni fa non sarebbe stato accettato, che il concorso esigeva almeno un metro e sessantuno ma poi una tizia che era uno e cinquantanove- beata lei lui ci metterebbe la firma per un metro e cinquantanove- aveva vinto il ricorso, il giudice nella sostanza aveva detto che i vigili possono avere qualsiasi altezza e qualsiasi forma, sono mica truppe d’assalto. In realtà al vigile non sarebbe dispiaciuto un arruolamento militare, compiere azioni di salvataggio, buttarsi per terra in mezzo alle esplosioni e fare scudo a una vittima indifesa e poi trascinarla dalla morte verso la vita, e però con quel suo metro e cinquanta scarso non lo avrebbero ammesso, o se per assurdo anche lì ci fosse stato un giudice a Berlino lo avrebbero escluso dalle azioni importanti e lo avrebbero preso in giro tutti i giorni. Il vigile non prende mai in giro nessuno, è una persona gentile, mentre sta con il braccio alzato tollera che il giocoliere si piazzi davanti alle macchine bloccate dall’autorità del vigile, anche se un po’ lo disturba perché teme che a causa della sua statura la gente pensi che quei due formano una coppia di artisti da strada, tanto più che mentre lancia i birilli il giocoliere spesso gli si avvicina e quasi lo sfiora. Proprio così, il vigile avrebbe preferito più azione e dinamismo, ma gli piace anche l’ordine plastico che i gesti solenni conferiscono al corpo, l’equilibrio di cui lo dotano le sue braccia tese, e capita che le lasci orizzontali qualche secondo di più. Percepire l’energia che le percorre.

Anche Antonio ama i gesti, molto più delle parole. Se ci pensa quel che più lo attrae dell’affaccio sull’incrocio è la danza dei gesti. Ce ne sono di evidenti, programmati e coordinati, come quelli adesso del vigile o del giocoliere, ma i più affascinanti sono minimi e improvvisi, il pedone che sfancula col braccio il tipo che è passato col rosso e il vecchio che ringrazia verso la macchina che dona la precedenza al suo passo zoppo, i tizi che si salutano dai lati opposti perché sono arrivati all’appuntamento, i tizi che chiedono e ricevono indicazioni e quasi sempre una mano fa un segno che indica quanto la meta sia lontana, o gli strani riti personali della gente che è messa in pausa davanti al semaforo e uno congiunge le mani come per pregare, uno prolunga saltellando sul posto la tensione muscolare del suo foooting, uno si scherma gli occhi dal sole. Ad Antonio piacciono i gesti ma gliene sono rimasti pochi, tipo tamburellare con la mano sul tavolo. I gesti sono fatti per essere almeno in due. E’ più consueto parlare da solo che farsi gesti da solo. Forse la crisi delle relazioni umane è cominciata proprio con la parola, che ha permesso agli uomini di starsene da soli. Ad Antonio piacciono i gesti, ma l’ultimo che gli hanno fatto è stato brutto e aggressivo, lei prima gli ha detto adesso scendi, e lui è sceso dalla macchina però continuava a guardarla e lei gli ha mostrato il dito medio prima di sparire. Così Antonio ha deciso di installarci sul suo balconcino, scendendo solo per fare la spesa. Si tiene aggiornato con la radio, però, e sa anche come cambiano le mode fuori, come le fette di pompelmo con la Simmenthal.

A Gloria stava venendo un po’ da piangere, ma ecco che compare Ionita dall’altra parte dell’incrocio e si sbraccia per farsi vedere. Le fa segno di attendere, che appena può attraversa e arriva lei. Sulla mente di Saverio è scesa la nebbia, ha osservato ipnotizzato per minuti interi le macchine che passavano più veloci, sempre più pronto al tuffo, ma ora una donna si agita di fronte, gli fa dei segni, pare entusiasta, e nella testa di Saverio c’è ancora troppa nebbia per distinguerla, e adesso anche un po’ di foschia fuori. Lo sapeva che Alina non lo avrebbe abbandonato, non sa quanto tempo è trascorso, non sa se lei è in ritardo oppure in anticipo ma quel che è certo è che non ha nessuna intenzione di aspettare oltre, e balzella, fa segno che no, le va incontro lui, e si muove deciso, e Gloria non ha più voglia di rimanere da sola, vuole mostrare a Ionita che ce la può fare, e si attacca al braccio di Saverio che lui nemmeno se ne accorge. Ionita si mette le mani sulla faccia, e Saverio fa in tempo a pensare che Alina si sta commuovendo.

Chissà se fra i dati immessi nell’algoritmo che regola Alfa sei manchi un aggiornamento, la notizia che un vigile urbano può anche essere più basso di un metro e sessantuno. Alfa sei quell’omino in mezzo proprio non lo considera un regolatore, oppure legge il gesto incongruo e incerto del vigile come un ulteriore lasciapassare. Alfa sei ha preso lo slancio secondo le indicazioni del suo programmatore, ovvero la prudenza va bene ma quando puoi spingere a tavoletta per l’essere umano è sempre confortante sentire che aumenta l’attrito della brezza dal finestrino e vedere che i gruppi di case si schiacciano nella retina, è a pochi metri dall’incrocio e si avvicina il momento della decisione. Il vigile, con insospettabile agilità, si è buttato sopra Saverio e Gloria, ha provato a gettarli indietro e non ci è riuscito ma li ha almeno avvolti con il suo corpo, o almeno ha immaginato di farlo perché arriva a coprirli solo per metà. E Alfa sei è ora alla prova del nove, da una parte quei tre, i tre includono una donna alla fine della sua stagione ma pure un giovane fisicamente integro e un rappresentante dell’autorità, e in alternativa un giocoliere, che è uno solo, non è seriamente produttivo, ed è incerto sulla direzione, nella vita come all’incrocio e dunque ora facile bersaglio, l’ingegnere si gode la scena ma ecco che l’auto scarta e si dirige decisa verso la punta del marciapiede in modo da impennarsi e sbalzarsi avanti, ha calcolato tutto Alfa sei in modo millimetrico, il punto esatto dell’asfalto in cui cadrà dopo essersi capovolta, la trazione della lamiera e l’altezza in cui penetrerà la carne del suo occupante. Il giocoliere, ancora incredulo dello scampato pericolo, osserva incapace di muoversi, senza accorgersi della moto che sopraggiunge alle sue spalle.

Un incrocio non può permettersi soste troppo lunghe. Il traffico riprende regolare dopo un paio d’ore, quando tutto è stato rimosso, già anche la memoria. Per Saverio è diverso, non riesce a togliersi dalla testa quei corpi rotti, sono diversi da come immaginava. Nei giorni successivi, se ci sono dei parenti, attaccheranno un mezzo di fiori al semaforo.

Magari è contento, gli ripeto il programma di storia nelle pause del semaforo, così mi sono detta mentre scivolavo via casa ma dovevo prevedere che di sera smontava il turno, al suo posto adesso c’è una donna che mangia il fuoco, ha i capelli rossi come la fiamma che sprizza, spero sia la sua nuova compagna. Tra poco saranno insieme in una casa piccola che lei scalderà e illuminerà con il suo fiato.

Come ogni sera Antonio si addormenta sul balcone, cullato dall’intermittenza del lampeggiare giallo. Lei, dopo molti anni, è entrata con le chiavi che non aveva mai restituito. Si è mossa lentamente nell’appartamento. Prima di andarsene lo ha osservato a lungo da dietro la tenda. Antonio non si è svegliato e non saprà mai di essersi perso tutta una serie di minuscoli gesti amorevoli che la strada di solito non ha tempo di offrire, ancora di più se la guardi dall’alto.

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2022-01-07T11:28:41+01:0016 Luglio 2021|Limite di velocità|

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