Quale bene in commercio mettereste al primo posto nella classifica dei generi di prima necessità? Il pane? Sbagliato. L’ossigeno. Le cronache raccontano dei cittadini che nella città brasiliana di Manaus alcune persone si aggirano con una bombola d’ossigeno sulle spalle, costata 70 dollari, per fornire alla madre altre quattro ore di vita in più. Quattro ore. Quelle che si possono permettere con il costo della ricarica.
Manaus, il luogo in cui nemmeno gli ospedali sono più in grado di somministrare l’ossigeno ai malati, rappresenta forse lo stadio di discesa più impressionante nella storia delle falle, delle inadeguatezze, degli orrori organizzativi e morali che accompagnano la pandemia. O magari no, ce ne sono altri relegati nell’invisibilità, o altri ancora che sono tanto spudoratamente visibili e ripugnanti da inibire lo sguardo. E non stiamo parlando, evidentemente, della parte calamitosa, inflitta dalla natura. Sono tutti fatti umani, troppo umani. Il Brasile costituisce, del resto, l’emblema della cattiva gestione della crisi sanitaria.
Ma c’è una caratteristica che prescinde dai confini nazionali, ed è l’accentuarsi della diseguaglianza che la pandemia sta provocando. La prossima tappa riguarda il divario tra paesi ad alto reddito e paesi a basso reddito nella distribuzione del vaccino. Secondo i dati riportati da El Pais, il miliardo e duecento milioni di persone che vive nei primi ha comprato, attraverso i suoi governi, quattro miliardi di dosi di vaccino, vale a dire 3,5 dosi a testa. I quattro miliardi che vivono nei secondi, se ne è potuti permettere 700 milioni, ai quali si aggiungerà il miliardo e cento dell’iniziativa globale Covax. Siamo a una dose ogni due persone. Attualmente Israele ha vaccinato il 53,5% delle persone (pagando 27 euro per dose!). Al secondo posto seguono gli Emirati Arabi con il 30,4%. I paesi europei allo stadio più avanzato sono la Serbia e Malta con il 6%. In Africa solo un pugno di piccoli paesi, come le Seychelles e le Mauritius. Persino Sudafrica e Nigeria non hanno cominciato: dovrebbe essere questione di giorni, ma per il resto del continente è escluso che la campagna si avvii prima di marzo. Qualcuno se la cava con le raccomandazioni. In Guinea il presidente è uno dei 25 vaccinati (tutti personaggi pubblici) grazie a 55 dosi di vaccino inviate dalla Russia, alla quale non dispiace testare in giro il suo Sputnik (che in Russia va a rilento: vaccinato sin qui lo 0,75 della popolazione). In ogni caso, è già una previsione ottimistica immaginare che un terzo della popolazione africana sia vaccinata entro la fine del 2021. Intorno ai deficit sanitari si sviluppa quella che è stata ribattezzata diplomazia dei vaccini, che è diventata- ad esempio- un potenziale punto d’approdo dell’influenza cinese (influenza quella politica, eh!) nell’America Latina.
E’ comprensibile che i paesi ricchi si preoccupino in primo luogo dei propri cittadini (visto poi che stanno già avendo difficoltà a vaccinare quelli), ma è certo miope nella prospettiva globalizzata lasciarlo circolare e presumibilmente mutare in nuove varianti. Non ci possono essere troppe velocità differenti nella lotta contro la pandemia, per non dire del fatto che il fallimento in questo campo metterebbe un macigno sul futuro della cooperazione internazionale. E per non parlare, chiaramente, della questione morale.
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