In cosa sono diverse, come incidono sulla vita pubblica e quali trasformazioni ha portato la tecnologia
Ogni giorno della nostra vita riceviamo dall’esterno due tipi di comunicazioni: informazioni e notizie.
Le informazioni riguardano l’utilità e la vita pratica: tipo che sono le cinque e un quarto oppure che il regionale per Forlì non parte il sabato. Le notizie danno conto di quel che accade in un certo ambiente, a prescindere dalla stretta funzionalità: il colpo di stato in Sudan, il crollo in borsa di Evergrande o i risultati delle elezioni, o di Sassuolo- Empoli.
Le informazioni sono pragmatiche, orientano le azioni per lo più di medio-breve termine, al massimo possono contrariare e o mettere di buon umore. Le notizie sono più aperte all’emotività: indignano, fanno esultare, commuovono, suscitano ilarità o paura. Le informazioni sono anti-ideologiche: la vecchia utopia che recitava “i fatti separati dalle opinioni” si riferiva solo alle notizie. Del resto le informazioni sono a-sociali: anche quando vengono apprese da più persone nello stesso momento muovono ad azioni concepite individualmente, o al massimo come somma di più individualità, come nel caso della campanella che segna in classe la fine dell’ora scolastica e induce tutti gli studenti ad alzarsi nello stesso momento per avviarsi all’uscita. Per questa ragione la gamma di reazioni che seguono un’informazione è piuttosto prevedibile, e direttamente collegata all’input: se il medico mi prescrive la terapia vado in farmacia a comprare le medicine, è difficile che ne tragga ispirazione per suonare il violino o innaffiare le piante.
Le notizie sono comunitarie, vengono selezionate immaginando l’interesse che possono rivestire per un gruppo di persone legate da un’appartenenza ambientale: i membri di questo gruppo potrebbero, in casi estremi, reagire alle notizie in modo collettivo, con un sit-in di protesta dopo una decisione politica, un’evacuazione conseguente all’arrivo di un ciclone o andando ad accogliere all’aeroporto la squadra di ritorno da una trasferta vincente. Le comunità delle notizie possono avere qualsiasi dimensione: un quartiere, un territorio, una nazione ma anche la comunità-mondo (se mi sento parte di quella seguo con interesse le notizie sul COP 26) o la piccola comunità della coppia (che può essere scossa dalla notizia che il marito è cornuto). Inoltre la reazione del singolo è imprevedibile, perché può avere un legame apparentemente flebile con la vicenda che costituisce la notizia: ascolto in televisione le notizie sul contagio pandemico, e ricordandomi delle vittime che hanno causato nelle RSA ho l’impulso di telefonare alla mia madre anziana per sentire come sta.
Le informazioni, anche se alcune sono soggette a costante aggiornamento, hanno una certa regolarità e stabilità. Le notizie si formano e fluiscono, quotidianamente rinnovate, secondo la sensibilità e le intenzioni di chi le produce o le diffonde e la propensione dei destinatari a recepirle, interpretarle e farle circolare.
Le informazioni quasi mai sono sprecate: ricevo le informazioni che ho cercato o richiesto, oppure quelle che mi vengono fornite durante una specifica attività (come i cartelli autostradali), e se intercetto informazioni che non mi interessano non vi presto attenzione, ed è come se non le avessi ricevute. Le notizie, tanto più riguardano una comunità estesa, tanto più sono incluse in contenitori indifferenziati, come i giornali o un’emittente televisiva, dai quali si possono apprendere notizie diverse da quelle cercate, e che improvvisamente diventano un pensiero fisso.
Dietro questa classificazione tanto netta, ci sono ovviamente una serie di complicazioni. Alcune notizie possono essere utilizzate come informazioni, ad esempio la quotazione borsistica di Evergrande per un trader. In effetti, quando molte persone sono interessate e trattare come informazioni certe categorie di notizie, esse vengono raccolte e proposte in modo più specialistico e dettagliato, come accade per i mercati finanziari. In generale, però, una notizia rimane tale se lo scopo della sua diffusione era diverso dal fornire un parametro di condotta individuale: se la televisione racconta il percorso che effettuerà il corteo reale, il fatto che un terrorista se ne serva per progettare un attentato non la trasforma in un’informazione. La notizia è prodotta affinché le persone possano farsi un’idea del mondo (o dell’ambiente comunitario più ristretto in cui prende senso la notizia) e quindi – anche quando è fortemente concreta, come un sanguinoso fatto di cronaca – essa contiene un certo grado di astrazione. Allo stesso modo, l’apertura di una mostra, pur se diffusa con pochi dati essenziali che comprendono il luogo di esposizione e l’orario di apertura, rimane uno scheletro di notizia, piuttosto che un’informazione.
Ci sono tuttavia delle notizie che, pur aprendosi a forme di generalizzazione, né spingono seriamente a interrogarsi sul proprio ambiente né suscitano propriamente emozioni, limitandosi a spegnere delle curiosità o a muovere istinti torbidi, come le cronache rosa o i pettegolezzi. Anche se giustamente si sottolinea il ruolo storico svolto dal pettegolezzo nella nascita della produzione di notizie, in una società evoluta esso rappresenta uno stadio debole dell’afflato comunitario. Possiamo dunque qualificare questo ramo accessorio e malforme come notizie a bassa intensità.
Egualmente, vi sono informazioni che vengono raccolte non per trarne un’utilità attuale, bensì un’utilità ipotetica. Non servono per orientare una mia azione attuale o prossima ma per orientarne una possibile, e però lontana da ogni seria progettazione (che cosa dovrei fare se un giorno decidessi di), per sollecitare la memoria riguardo a fatti già accaduti (come si chiamava quel tizio che) o soddisfare una vana curiosità (quanti figli ha quell’attore: in quest’ultimo siamo al confine con le notizie a bassa intensità, ma l’atteggiamento mentale con cui le si approccia è ricalcato su quello della ricerca di informazione). Possiamo definirle informazioni oziose che, dietro l’apparenza dell’utilità confermata anche dall’uso fortemente individualistico, hanno in realtà lo scopo di intrattenere chi le consulta. Sono, in quel momento, il suo modo di impiegare il tempo.
Per ricevere informazioni, durante l’era analogica, di solito bisognava attivarsi: recarsi in un ufficio o un’agenzia, telefonare, al minimo interpellare qualcuno. Il buon funzionamento dell’organizzazione sociale ha però indotto ad adottare segnaletiche (e quindi non abbiamo bisogno di fermarci a chiedere al benzinaio quale sia la velocità massima su un percorso né di chiedere all’inserviente quale sia il bagno per le donne); altre sono state incluse in specifici dispositivi consultabili agevolmente (l’orologio, la bussola), e altre ancora in dispositivi che si attivano al momento in cui è pronta l’informazione (la sveglia o il campanello del forno).
La società trae giovamento se gli individui che la compongono osservano una dieta equilibrata di informazioni e notizie (salutare prima di tutto per l’individuo stesso), senza che le une troppo sovrastino le altre. Con le informazioni essi soddisfano il raggiungimento degli obiettivi personali, grazie alle notizie trascendono quegli stessi obiettivi e hanno la possibilità di partecipare attivamente e spiritualmente alla vita della comunità.
Cosa dobbiamo dire tuttavia di un bravo politico o di un bravo medico, che studiano coscienziosamente le materie di cui si devono occupare, con potenziale beneficio per la comunità? Non apprendono forse le nozioni occorrenti come se si trattasse di informazioni? In realtà, sarebbe riduttivo dire che un medico, quando studia la posizione della valvola aortica, sta facendo qualcosa di analogo a me, quando chiedo dove si trova corso Garibaldi. In casi simili, le informazioni e le notizie lasciano posto ai saperi, ovvero all’estrazione meditata di conoscenze profonde ricavate dallo studio e dall’esperienza. Questo serve a ricordare che informazioni ed esperienze non esauriscono certo tutto il nostro vissuto. Se il partner dice “Ti amo”, salvo casi eccezionali, non sta fornendo né una notizia né un’informazione. Ma la notizia e l’informazione assorbono, in termini temporali, una quota consistente della ricezione comunicativa di una persona comune (e anche non comune: Robinson Crusoe organizzò la propria sopravvivenza con tante informazioni, ma anche qualche notizia).
Che cosa succede alle informazioni e alle notizie (e quindi alla nostra ricezione, e quindi alla nostra personalità) con l’avvento delle comunicazioni digitali?).
Di solito le critiche si appuntano sul peggioramento della qualità dell’Informazione (che scritta al maiuscolo vuol dire notizie), alla sua dequalificazione, alla sua manipolazione. Questo però è solo lo stadio più superficiale (e non una novità assoluta, specie se si pensa ai regimi dittatoriali).
Almeno quattro cambiamenti meritano di essere presi in considerazione.
Il primo è che il campanello del forno (che sullo smartphone corrisponde alla notifica) suona per annunciarci che la nostra notizia è cotta. Le notifiche concernono infatti più notizie che informazioni, e avvertono che se apriamo lo schermo leggeremo qualche notizia che noi consideriamo interessante. Non che forse considereremo interessante, ma che è già interessante, per il fatto che ci viene notificata. L’algoritmo, infatti, non solo ci consegna a domicilio le notizie (lo fa anche il postino per gli abbonati dei quotidiani) ma seleziona quelle con il contenuto che desideriamo ricevere (non semplicemente dell’argomento che desideriamo ricevere, ripeto: del contenuto), e lo fa per accontentarci, e per aiutarci a persistere in quello che siamo e pensiamo, al fine di ottimizzarci come profili sintetizzabili da vendere a inserzionisti commerciali.
La seconda è che l’algoritmo predilige servirci notizie che sotto il profilo comunitario sono divisive (hanno un maggior tasso di aperture) oppure notizie a bassa intensità, più legate al pettegolezzo, sui social spinto sino al punto che le persone arrivano a spettegolare di sé stesse.
La terza è che non abbiamo più bisogno in alcun modo di spostarci per ricevere informazioni, e nemmeno di attendere che sia trascorso un qualche lasso di tempo. Questo ci porta a ripetere e raffinare sino al parossismo maniacale l’informazione stessa: per andare a cena tenderemo a leggere sessanta recensioni, per sapere come vestirci di sera compulseremo ripetutamente il meteo.
La quarta è che, grazie alla loro disponibilità illimitata, siamo più propensi a dedicare il nostro tempo a informazioni oziose, anche interrompendo quanto stavamo facendo. Se fra due anni volessi andare in Giappone quale itinerario dovrei percorrere, e quanto mi costerebbe? Quanti anni ha Nicole Kidman? Che lavoro farà ora quel compagno di scuola che non mi veniva in mente da trent’anni?
Riassumendo: notizie comodamente pre-confezionate, tendenzialmente divisive, oppure notizie a bassa intensità; aumento del tempo speso nella ricerca dell’informazione oppure nell’intrattenimento mediante l’informazione oziosa. Inevitabile che il profilo critico e psicologico ne esca impoverito, al pari della comunità.
E il politico, allora? Ma è ovvio: è il personale!
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