Lo smartphone aspira a essere un oggetto totale, un oggetto-mondo, per l’incredibile quantità di funzioni che assomma: questo lo rende differente da tutti gli altri oggetti che l’hanno preceduto. Ma non del tutto unico. Il fazzoletto, per dire, non è stato un oggetto totale meno ambizioso, al punto che possiamo tracciare diversi parallelismi con lo smartphone. Intanto l’esigenza di essere sempre a portata, spinta al punto da farne un’appendice del corpo, obiettivo che anzi il fazzoletto ha raggiunto più agevolmente, trovando alle legature al polso e al collo un’alternativa più carnale del semplice posizionamento nella tasca. Chiaramente lo smartphone è più efficace in termini comunicativi. E però, purché gli interlocutori non siano esageratamente lontani, il fazzoletto sventolante manda segnali carichi di pathos (e meno equivoci di quelli telefonici), come salutare qualcuno che si sta allontanando sopra il treno, festeggiare il successo di un atleta oppure arrendersi (in questo caso deve essere bianco), quando non si dispone di una bandiera. Nel Portogallo dell’Ottocento e del Novecento i lencos de perdidos, fazzoletti di lino e cotone finemente decorati, svolgevano una funzione di sondaggio analoga a quella di Tinder. Se poi la questione si faceva più seria si passava ai lencos des namorados, che segnalavano lo stato sentimentale, come su Facebook. Allo stesso modo, e con finalizzata precisione, nella comunità gay americana degli anni ’80 portare il fazzoletto a destra o a sinistra esprimeva la preferenza attiva o passiva, e il colore etichettava la pratica preferita. Secondo Plutarco, Cleopatra messaggiava Antonio con fazzoletti intrisi di lacrime.
Ispezionarne il contenuto, dopo essersi soffiati vigorosamente il naso, è il primo atto per compulsare in prima persona i fluidi corporei, comparabile al monitoraggio della frequenza cardiaca delle app di self-care. Tale sua funzione primaria conduce a biasimare, al pari dello smartphone, la sua esposizione pubblica in alcune circostanze, ad esempio sul tavolo mentre si mangia: e soffiarsi il naso durante un concerto è altrettanto ineducato che lasciar squillare la suoneria. Di contro, sia lo smartphone che il fazzoletto, resi visibili con discrezione e senza che sia evidente l’intenzione di passare all’atto, sono segni distintivi (un fazzoletto di seta ricamato o l’ultimo modello dell’Iphone), entrambi a proprio agio nella sporgenza dal taschino di una giacca. A un certo livello hanno il loro costo, e nel 1594 la città di Dresda emanò un editto che impediva di gettare fazzoletti nella via, in quanto oggetti di lusso. Entrambi suscitano la meraviglia e la diffidenza di popoli a un differente stadio di civilizzazione: un gesuita in Nuova Caledonia, nel XVII secolo ammetteva che “i selvaggi ci accusano di sporcizia per il fatto di tenerlo in tasca” (lascio indovinare al lettore se parlava dello smartphone o del fazzoletto). Entrambi hanno incontrato un’opposizione igienista, rispettivamente la diffusione dei germi virali e dei germi della disattenzione.
Per ricordarsi qualcosa il nodo al fazzoletto è efficace quanto il bip che rammenta di prendere la pillola (e acusticamente più discreto). Il legame con la sessualità è un ulteriore elemento accomunante: per saggiare lo sviluppo ormonale di un adolescente maschio, un’alternativa a ficcare il naso nella sua messaggistica (si noti la metafora: ficcare il naso) consiste nello scostare leggermente il letto e contare quanti cadaveri di fazzoletti di carta sono stati ammonticchiati. La Kleenex, per promuovere un modello ecofriendly “concepito specialmente per i segaioli”, nel 2018 ha stretto una partnership con la piattaforma Pornhub, attraverso un video promozionale che addossava al “ciclo della masturbazione” la responsabilità parziale della deforestazione (stima: 42.000 alberi all’anno). Lo smartphone e il fazzoletto, in una rara unione di forze, sono stati rispettivamente genesi e parto della condivisione, stante che gli utenti del modello ecologico erano invitati a postare il coming out ai contatti: “Ho salvato undici alberi grazie a Pornhub”. In alcuni matrimoni gitani la donna più anziana presente alla cerimonia inserisce un fazzoletto nella vagina della donna sposata per estrarne cinque stille di sangue certificanti la sua verginità. Una giovane imprenditrice americana, scossa anche per esperienza personale dagli abusi compiute sulle ragazze nei campus e la dinamica preparatoria di cocktail contenenti stupefacenti, ha appena lanciato un fazzoletto antistupro, che intinto della bevanda ne rivela l’alterazione (una procedura di riconoscimento di oggetti, settore che oggi sta diventando esclusiva dei dispositivi). La mescolanza del valore strettamente sessuale e di quello simbolico del fazzoletto trova la massima rappresentazione nel fazzoletto bianco dell’Otello shakespeariano, che viene in effetti ricondotto a strumento di dominio maschilista e ad appropriante metonimia del personaggio di Desdemona (nel 2013, però, il critico letterario Ian Smith, in Othello’s Black Handkerchief, sostiene che nel testo originale il fazzoletto era pensato come nero ed era piuttosto una metonimia di Otello).
A un certo punto anche il fazzoletto è stato oggetto di un programma radicale di obsolescenza programmata attraverso l’invenzione della sua versione gettabile, che peraltro i giapponesi avevano già sperimentato dal IX secolo quale manifestazione di signorilità mediante utilizzo di carta di soia. Il Kleenex (uno di quei casi cosiddetti di volgarizzazione del brand, in cui quest’ultimo viene utilizzato per denominare il prodotto comune) nasce invece come produzione di massa, ma più che per rispondere alle contestazioni sull’igiene per puro accidente: come racconta Jeanne Guien nel suo bel “Le consumérisme à travers ses objects” (ricco fra l’altro di informazioni sul fazzoletto), la Kimberly-Clark, produttrice dei Kleenex, aveva venduto agli eserciti delle bende medicali e filtri per maschere a gas che, a causa della penuria di cotone, furono realizzati con un economico materiale derivato dalla cellulosa. Siccome la fine del conflitto aveva lasciato diverse giacenze da smaltire, si inventarono una linea di fazzoletti gettabili, destinati al pubblico femminile, per struccarsi o spargere la crema idratante. Ma con sorpresa dell’azienda, le persone presero a usarlo per soffiarsi il naso, e nel 1927 il prodotto Kleenex venne riposizionato sul mercato. Un fenomeno non troppo dissimile dal destino del telefono portatile che, pensato per parlare a distanza senza necessità di una postazione fissa, si trasformò invece in uno schermo e (bravo il filosofo Maurizio Ferraris che fu tra i primi a intuirlo) in un dispositivo di scrittura. Ora, sia i fazzoletti di carta che gli smartphone sono nel mirino degli ambientalisti, a causa delle rispettive materie prime (alberi delle foreste boreali e litio).
Insomma, due oggetti con un certo livello di fungibilità. E allora, non sarebbe meglio che in formula monouso venisse prodotto lo smartphone, abbandonando dopo ogni messaggio il carico di stress incorporato nella sua memoria? E che, prima di addormentarci, anziché a un display, l’ultimo sguardo fosse rivolto a una trama ricamata sopra la seta, alla fantasia che sorge dalle pieghe, all’ordinato riporlo, simile a corpo che si rannicchia nel ristoro notturno?
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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