L’escalation missilistica e nucleare della Corea del Nord, e le conseguenti tensioni con i paesi dell’area e ancor più con gli Stati Uniti rimandano a un passato che pareva dimenticato: quello della Guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica e della corsa agli armamenti nucleari che teneva in ansia il mondo ma sembrava funzionale dal punto di vista della deterrenza. Si parlava di “equilibrio del terrore”, e Norberto Bobbio, molto opportunamente criticava la teoria della deterrenza osservando: bene, siamo certi del terrore ma chi ci garantisce che sarà conservato anche l’equilibrio? Significava non solo che una delle due superpotenze avrebbe potuto guadagnare un tale vantaggio da essere certa di non subire la ritorsione dopo avere lanciato l’attacco, ma anche che il “club del nucleare” era destinato ad allargarsi con esiti imprevedibili. Mentre ora ci si concentra soprattutto sugli aspetti strategici, vale la pena di ricordare che durante la Guerra fredda fioccavano analisi scientifiche su quello che avrebbe atteso la terra se la follia avesse prevalso, dando avvio al lancio di testate nucleari. Ho ripescato dalla mia libreria “Tre minuti a mezzanotte”, una raccolta di saggi di quindici studiosi americani pubblicata dagli Editori Riuniti. Ecco, giusto a titolo di pro memoria, qualche passaggio dei brani di Arthur M. Katz, Leo Sartori e Anne Ehrlich.
“Le nostre proiezioni più accurate – ha concluso Kennedy – mostrano che un conflitto nucleare di notevoli entità, fra i suoi plausibili effetti, produrrebbe nell’ambiente fisico e biologico cataclismi maggiori di quanto il nostro pianeta ne abbia mai subito negli ultimi 65 milioni di anni.”
Uno dei risultati più sorprendenti di questa ricerca è stata però la scoperta che anche nel caso di scenari di conflitti nucleari di entità relativamente modesta si determinerebbero effetti climatici gravi e prolungati. Nello scenario-base considerato (conflitto da 5.000 megaton) le temperature continentali medie scenderebbero di oltre i 23 gradi sotto zero. Ma anche nel caso di un conflitto consistente esclusivamente nell’esplosione (al di sopra delle aree urbane) di testate nucleari per un totale di soltanto 100 megaton, si produrrebbe una quantità di fumo sufficiente ad oscurare il cielo e a raffreddare le zone continentali ad una temperatura inferiore ai 20 gradi sotto zero e il ritorno alle temperature normali richiederebbe più di tre mesi.
La sete costituirebbe un altro grave problema. Un altro dei relatori, John Harte, della University of California, ha detto che le acque di superficie all’interno dei continenti ghiaccerebbero per uno spessore di uno o due metri. Se anche le piogge si riducessero – un altro esempio di sinergismo nocivo – sia la gente che gli animali d’allevamento morirebbero di sete. “È interessante notare – ha osservato Harte – come i sinergismi sembrerebbero determinare per l’uomo effetti favorevoli quando tutto funziona, ed effetti nocivi , invece, quando qualcosa cominci a non funzionare più nell’uomo stesso o nella natura.”
Fra la popolazione, gli scampati a un conflitto nucleare su larga scala si troverebbero a dover vivere in un mondo buio, coperto di fumo, radioattivo, con la temperatura in rapida diminuzione, e dove la maggior parte dei servizi sociali che oggi siamo abituati a dare scontati – assistenza medica, sistemi di riscaldamento centralizzati, impianti per l’energia elettrica, mezzi di comunicazione, e cosi via – sarebbero completamente distrutti. Città e impianti industriali, acque di superficie ghiacciate, dunque; e le poche scorte locali di cibo e medicinali che si esaurirebbero rapidamente, senza potersi attendere alcun aiuto dall’esterno.
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