Forse poteva aspettarselo dopo il suo discorso parlamentare. Alla Camera aveva opposto alla minaccia di arresto di Mussolini:
“Dite al presidente che tra me e lui c’è di mezzo lo Statuto”. Adesso, dopo la bastonata che l’ha raggiunto al cranio, gli squadristi infieriscono a calci e manganellate. Non è Matteotti. Siamo nel maggio del 1923, non nel maggio del 1924. Non aveva precisato che “non voleva parlare né prudentemente né imprudentemente ma parlamentarmente”, come Matteotti. Non ne era sparito il corpo per tre mesi, ed era sopravvissuto. Non era stato prelevato all’uscita di casa ma sorpreso mentre sistemava ancora la patta dei pantaloni all’uscita dall’orinatoio pubblico. E non aveva dipinto il fascismo come il nemico da respingere. Alfredo Misuri aveva pronunciato un discorso di “opposizione fascista”. Un professore di zoologia convinto che il fascismo di governo stesse imbarcando una schiera di opportunisti che inquinavano la pubblica amministrazione.
Certo, ci fu un po’ di maretta, alcuni membri della Milizia presentarono le dimissioni (respinte). Ma la vicenda fu seguita con una certa indifferenza, come si trattasse di una bega interna, e quasi cassata dai libri di storia. Al pari di quell’altra bastonatura che, l’anno successivo, colpì il dissidente Forni, avallata da Mussolini perché “chi tradisce perisce”. Sono episodi evidentemente meno impressionanti delle azioni punitive nel Polesine, nelle quali i sindacalisti venivano ammazzati davanti ai figli. E però dal loro accostamento emerge la natura selvaggia e priva di ideologia della violenza fascista. Di questo recupero di memoria ha merito Antonio Scurati, dopo anni di progressiva scomparsa dei tomi sul fascismo che animavano l’editoria negli anni Ottanta, con il suo volume di fascista monumentalità, “M. Il figlio del secolo” (Bompiani), già stravenduto, letto pubblicamente, celebrato e osteggiato dopo poco più di un mesetto in libreria. I quesiti che interessano sono diversi. Perché tanto successo? Ha qualcosa da dirci sull’attualità? E sulle interpretazioni del fascismo, cioè sul perché esso precipitò sull’Italia? È davvero un romanzo? È corretto documentalmente? Prima di passare velocemente in rassegna questi interrogativi è impossibile ignorare l’evento divenuto popolare quasi quanto il libro: la critica di Ernesto Galli della Loggia, che ha individuato alcuni macroscopici errori del testo che, secondo lui, ne squalificherebbero il valore storico. Scurati ha risposto, con garbo e un tantino di affanno, invocando la cooperazione fra l’arte romanzesca e il rigore scientifico, e identificando sé e il suo volume con la prima.
Gli errori paiono perlopiù lapsus e refusi. Non so se Scurati conosca a memoria la data di Caporetto ma come chiunque sarebbe stato in grado di controllarla su Google; non penso sia intimamente persuaso che l’Italia proletaria sia una creazione di Carducci invece che di Pascoli. In un libro tanto ambizioso queste sviste sono una piccola catastrofe editoriale (ma non è che siano solo storiche: un dispettoso correttore automatico ha spezzato tutti i glielo in glie lo), non dissimile peraltro da quelle dei grandi quotidiani che, non potendosi permettere nemmeno i correttori di bozze, sbagliano talora pure i titoli di prima pagina. Ma mi pare forzata e scorretta la deduzione di Galli della Loggia che l’autore non sia “in grado di orientarsi nella storia culturale della prima metà del Novecento”. Al contrario, Scurati maneggia non solo le nozioni (per le quali tutto sommato basta schierarsi qualche mese i testi degli storici sulla scrivania) ma profondamente il sentimento che contraddistinse l’arena pubblica, benché poi scelga di raffreddarlo con la potatura delle aggettivazioni. È un testo che pare scritto con la furia dell’accumulo; è lì dentro che scappa l’errore e anche la ripetizione: che Farinacci abbia scippato la laurea con la forza, per esempio, basterebbe saperlo una volta sola. Scurati pare a tratti sommerso dal suo materiale. Ma lo sforzo è assai riuscito nel riordino sistematico, e in questo modo assolve ottimamente il compito informativo: e, per quanto sia assurdo constatarlo (e indicativo del clima odierno), è in questa forma di diligenza la qualità ideologica di un simile testo.
Un romanzo può risolversi nel raccogliere e ordinare dei materiali? La letteratura si è ormai uniformata ai canoni dell’arte plastica contemporanea, per la quale da tempo è scontato che un basso grado di manipolazione non sia di ostacolo all’autorialità artistica? Se così fosse resterebbe inspiegabile perché venga invece ascritta alla categoria del saggio un’opera di prim’ordine, anche stilistico, come “Patria” di Enrico Deaglio. Ma di autenticamente narrativo Scurati conserva (nella forma del discorso indiretto) una forma, pur attenuata, di punto di vista dei personaggi. Molti dei brevi capitoli sono “intestati” a Mussolini, Matteotti, al sicario di quest’ultimo Amerigo Dumini, a Margherita Sarfatti, ed altri ancora e ci avvertono che a fianco all’oggettività dei dati vibra la prospettiva personale della figura di riferimento. Dovrebbe brillare quella di Mussolini; in realtà le rappresentazioni più efficaci sono quelle del sottobosco di pretoriani che lo circondano. Credo che raramente un libro di storia abbia calato il lettore in modo così convincente nei panni di Cesare Rossi.
Ma non è certo per questo che il libro incontra tanto successo di vendita. Due fasce di lettori probabilmente prevalgono: la prima si proietta verso il Duce, per conoscerlo, ritrovarlo, desiderarlo, deriderlo, a seconda della cultura di partenza, dell’orientamento, della generazione; la seconda, critica verso il quadro politico del paese, vuole pesare quante somiglianze sussistano con gli anni che prepararono il regime. Ce ne sono? Diverse, fermo restando ovviamente che, quand’anche alle porte ci fosse un fascismo che verrà, sarebbe marcato da notevoli differenze, a partire dal fatto che le masse non si nutrono più di pane e violenza. Si riaffacciano: la prevalenza extraparlamentare della politica, la repentinità degli spostamenti elettorali, l’ambiguità della borghesia imprenditoriale, il rancore sociale dei ceti medi declassati, il culto del capo.
Cosa aggiunge di nuovo il libro alla pubblicistica storica? Esemplare pedagogia in tempi di crescente ignoranza della storia, non credo che “M” abbia velleità di ricollegarsi ai vecchi dibattiti sul regime, e questo è un peccato. Sarebbe stato un marchio troppo saggistico teorizzare sulle interpretazioni del fascismo, e capire in definitiva perché ci toccò il ventennio. Però Scurati pilucca troppo educatamente tutto quel che già era sul tavolo, quale ipotesi causale: la casualità storica (molto gli preme mostrare come l’esito della Marcia su Roma e il superamento del delitto Matteotti si debbano all’insipienza e collusione alla regia e dei liberali), la rivoluzione socialista minacciata e mai intrapresa ( “ i socialisti hanno conquistato l’Italia ma non sanno che farsene”), l’avvento delle masse sulla scena politica, i postumi postbellici e la passione per la violenza che diffusero. Perché, esattamente, Mussolini sia il figlio del secolo (non un figlio del secolo) e perché, poi, proprio lui, rimane indistinto.
L’avventura di D’Annunzio a Fiume e i rapporti dal vate con Mussolini sono pennellati con grande ispirazione e concretezza. La centralità dell’episodio di Palazzo D’Accursio a Bologna, il 23 novembre 1920, nell’ascesa del fascismo e nella liquefazione della credibilità socialista è resa mirabilmente. La continuità degli amplessi tra Margherita Sarfatti (la cui personalità è restituita in modo discutibile) e M forse esagerata: diciamo che qui scatta l’istinto del narratore, e quindi in dubio pro fictioni (o fiction).
Lo stile non è noioso, nemmeno un po’, e mi stupisce che qualcuno dica il contrario. L’operazione era notevole, e alla portata di pochi. Scurati da sempre cumula la duplice ossessione di incassare pubblico sonante, inseguendo il tema del giorno (espresso o latente), e di assicurarsi il riconoscimento della posterità. I numeri dicono che stavolta ha ottenuto il primo (lambito con i numerosi premi già ricevuti) e la mia impressione, quanto al secondo, è che tra diversi anni si parlerà ancora di un Mussolini scuratiano, specie se (come pare) completerà una trilogia.
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