Quante scene spiacevoli ci sarebbero state risparmiate. Alfredo non avrebbe tirato i soldi in faccia a Violetta, ne La Traviata. Claude Atkin non avrebbe gettato un dollaro nella sputacchiera per sfruculiare l’ubriaco Dean Martin in Un dollaro d’onore. A inizio di quest’anno una bambina della provincia di Lecco non avrebbe gettato nel water duemila euro dei suoi genitori e tirato lo sciacquone, con una perdita secca di 1100 nel bilancio familiare dopo l’intervento parziale di recupero dei Vigili Del Fuoco (corpo del quale si sottostima regolarmente l’eclettismo).
Sì, nulla di tutto questo sarebbe accaduto se non fosse esistito il denaro contante.
Beh, la sua funzione l’ha svolta, e nell’insieme piuttosto bene, dai gur di orzo della Mesopotamia (che in realtà non erano ancora una moneta vera e propria) alle leghe in oro e argento del Regno di Creso, dal dollaro ai miniassegni della Banca del Salento. Sempre però la sua materialità ha suscitato una certa ambivalenza pulsionale, che in certi casi si è inabissata nella rappresentazione escrementizia (basti ricordare la celebre affermazione di San Basilio Magno, che lo epitomò come sterco del diavolo, e la teoria freudiana per la quale il possesso avido del denaro sublima la ritenzione ostinata delle feci).
Il denaro si è tuttavia indirizzato sempre di più verso la smaterializzazione. A cominciare proprio dalle monete bimetalliche e poi dalle banconote di carta, cioè di un materiale in sé privo di valore, contrariamente alle dracme o ai sesterzi, che introducevano la fiducia quale radice dello scambio monetario. Una banconota esprime la sua funzione solo fino a che tutti sono d’accordo nel considerarla una banconota. La summa teologica di tale principio stava nella dizione “pagabili a vista al portatore”: scritta sulle lire e sparita dall’euro – secondo una prima versione perché in assenza di una banca centrale ci hanno fottuti e alla luce di un’altra linea interpretativa perché si doveva scrivere in una ventina di lingue. Ma, da quando era cessata la convertibilità in oro, si trattava già una scritta senza significato poiché attribuiva solo la soddisfazione di presentarsi in banca e ingiungere al cassiere: “Ecco, la riprenda e me ne dia un’altra uguale!”.
La smaterializzazione si è poi evoluta con le carte di credito e più recentemente con i pagamenti a mezzo smartphone che in alcuni paesi africani costruiscono una quota cospicua delle transazioni.
Negli ultimi tempi, dunque, si leva qualche voce a perorare l’abolizione del denaro. Quelli che hanno trovato il modo più elegante per dirlo sono di certo i firmatari della petizione “Basta soldi sporchi”, disponibile su Change.org per chi la voglia sottoscrivere. Il suo sottotitolo è “Le italiane e gli italiani meritano onestà e meno tasse”.
Partendo dalla premessa che per affrontare i disagi post-Covid dobbiamo inventarci modi nuovi per migliorare la qualità della nostra vita, la proposta consiste nel “cambiare il denaro”, che è sporco per definizione. Sporco fuori perché “una banconota contiene, secondo uno studio dell’università di Oxford, circa 26mila batteri di almeno 3000 diverse specie. Secondo l’OMS ci sono rischi di trasmissione del Covid-19 anche dalle superfici delle banconote e nessuno è in grado di escluderli”. Ma anche sporchi dentro a causa del riciclaggio mafioso, della corruzione e dell’evasione fiscale che sfila 110 miliardi di euro all’anno, “quasi 2000 euro sottratti ad ogni italiano”.
L’abolizione del denaro, che dovrebbe accompagnarsi alla gratuità delle operazioni in euro elettronici, cancellerebbe il rischio di essere rapinati per strada e farebbe approdare alla liquidità circolante una grande quantità di “contanti dormienti”, non sempre frutto di onesto risparmio, l’immissione di 110 miliardi nell’economia “aggiusterebbe per sempre i nostri conti pubblici” e ripristinerebbe l’equità nella contribuzione fiscale (e magari consentirebbe anche la riduzione del peso delle imposte).
L’uso del contante ha in Italia una diffusione incomparabile con quella degli altri paesi: in Svezia (una delle nazioni più all’avanguardia nella sua marginalizzazione) solo il 13% dei pagamenti viene effettuato in moneta, in Italia l’86%; se ci riferiamo al valore complessivo delle transazioni l’Italia è al 63% e la Svezia al 3%. Su 85 paesi mappati siamo all’82simo quanto a distacco dal contante.
Tutti siamo consapevoli di questo fenomeno e i governi degli ultimi vent’anni, in modo schizofrenico e altalenante, hanno messo mano alla disciplina sulla sua limitazione, che però è sempre un palliativo. Finché c’è del contante a disposizione in un modo o nell’altro è sempre possibile attingervi.
Uno dei dati più sorprendenti è che l’abolizione del contante non aumenterebbe i costi spalmati sulla cittadinanza: secondo le stime della Banca d’Italia il suo utilizzo costa al sistema economico 7,4 miliardi di euro, quattro volte più delle carte di pagamento.
Esiste un vincolo europeo? Non sembra che l’Unione possa incidere sulle modalità di pagamento che introduce uno stato sul suo territorio: ma se un portoghese viene qui con i suoi euro e non li può spendere non è questo un limite alla circolazione dei beni? Il destinatario finale della petizione dovrebbe forse essere la comunità europea, che peraltro – specialmente nei suoi membri più severi – avrebbe a sua volta tutto l’interesse all’afflusso nelle casse nazionali dei prelievi sui redditi sommersi, che renderebbero paesi come l’Italia e la Grecia meno fragili economicamente.
Ci sono alcune controindicazioni. La prima è che la completa digitalizzazione dei passaggi mette più a rischio la privacy: le piattaforme che custodiscono i passaggi andrebbero maggiormente responsabilizzate (anche con pesanti sanzioni in caso di violazione) alla tutela di dati che potrebbero rivelare le preferenze di consumo di ogni singolo individuo, anche quelle che lo imbarazzano o ne evidenziano la fragilità (si pensi all’eccesso di spese mediche di una persona che cerca un posto di lavoro). Poi c’è la questione degli anziani più lontani da una competenza come la gestione digitale delle risorse: impensabile non tollerare a loro tutela una fase di transizione, una specifica assistenza e qualche forma di deroga. E infine quella dei soggetti marginali: l’elemosina non risolverà i problemi del mondo ma ogni giorno qualcuno appaga quelli del suo stomaco e non si può certo munirlo di Pos.
Il limite del progetto, dunque, è quello di presupporre una società migliore di quella attuale e con un suo compiuto stato sociale, in assenza dei quali rischia di rendere ancora più aspre alcune diseguaglianze. Ma tutto è interconnesso, e da qualche parte bisogna pur cominciare. Le norme da sole non distruggono i costumi: ma inserite con intelligente gradualità aprono a un equilibrio nuovo anche nei comportamenti.
Piuttosto opinerei che la formulazione stessa della proposta risente di un certo ottimismo in alcuni passaggi pratici (non abbiamo affatto le prove che l’immaterialità del denaro faccia sparire il crimine, come ha sin qui dimostrato il bitcoin; e al posto delle rapine ci saranno gli hackeraggi: d’accordo, non è male risparmiarsi una botta sul cranio, però…) e politici (l’idea che alcuni correttivi procedurali possano porre serio rimedio, sul piano della giustizia sociale, alle falle sistemiche del capitalismo).
Quel che mi conquista, però, è che questo micro-manifesto contenuto nella petizione mostra di ritenere inseparabili la responsabile etica personale e quella collettiva che sfocia nello slancio del legislatore, e fa affiorare quella spinta ad essere meglio di come siamo che la società civile negli ultimi anni esprime di rado e con impaccio. Per questo mi pare giusto, questi primi firmatari accomunatisi – dagli torto! – sotto l’etichetta “Eroi fiscali” e tutti con una biografia rilevante, menzionarli qui in coda, con il link alla loro petizione (che personalmente ho firmato). E certo nessuno mi ha pagato per scriverne, e se così fosse accaduto troveremmo tutto tracciato.
Sonia Alvisi, Emanuele Cavallaro, Anna Cossetta, Alessandro Garassini, Eliano Omar Lodesani, Agostino Megale, Arrigo Roveda, Alfonso Sabella, Pierluigi Saccardi.
https://www.change.org/p/parlamento-italiano-basta-soldi-sporchi
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