L’episodio che due settimane fa a Nanterre, nella banlieue parigina, ha innescato giornate spaventose di disordini in tutta la Francia resterà nella memoria anche per un suo percorso laterale, ovvero il successo della campagna di crowdfunding (la colletta attuata in rete) a favore della famiglia dell’agente che ha sparato mortalmente al diciasettenne arabo, poi risultato senza patente, per non avere ubbidito all’ordine di fermarsi.
La campagna ha condotto alla cifra di un milione e seicentomila euro, a fronte dei trecentomila messi insieme per la madre della vittima. La contro-colletta (così forse andrebbe definita, nata in opposizione a quella più convenzionale adottata per prestare solidarietà alla famiglia disagiata della vittima) è stata organizzata dall’ex braccio destro di Eric Zemmour, l’esponente di estrema destra francese.
Se vogliamo indicare l’origine culturale della colletta nell’attaccamento alle forze dell’ordine sbagliamo, perché nel 2019 aveva sbancato una che raccoglieva fondi per un gilet giallo che prendeva a pugni e calci due poliziotti. Questa dei fatti di Nanterre ha preso il via appena l’agente è stato messo in custodia cautelare: nulla si sa (cioè non si sa in generale, non lo sanno neppure quelli che hanno versato) della sua situazione familiare. La moglie potrebbe anche essere un’ereditiera, e certo la custodia cautelare non manda sul lastrico la famiglia all’istante. Va esclusa quindi una ragione autenticamente solidale: del resto, alcuni degli oblatori, intervistati, hanno ammesso di non avere mai aderito a una raccolta fondi prima di questa. Prima di incappare in un agente di polizia che sparasse a un diciassettenne disarmato, non avevano trovato nulla che sollecitasse in modo attivo il loro interesse per il prossimo.
Una misura cautelare non è una sentenza: ci sarà un processo, ed è possibile che all’agente vengano riconosciute delle attenuanti, o anche che (diversamente da quel che appare dalle registrazioni) sia stato indotto alla reazione da una legittima difesa o da un errore in qualche modo giustificabile. Prima di ogni giudizio, però, i fatti, ci dicono che, dei due, uno è vivo e l’altro è morto, ammazzato dal vivo; che uno (il vivo), per il fatto di indossare la divisa, è considerato dall’ordinamento responsabile per le sue azioni secondo un parametro più severo del comune cittadino, e che l’altro (il morto) per la sua età è soggetto a forme di protezione più intense di un comune cittadino, persino quando è lui a compiere un’azione violenta.
Come si può produrre il ribaltamento di un simile punto di partenza, al punto che non solo nasce l’idea della colletta a pro dell’agente, ma ottiene pure più fondi dell’altra, dentro questa insana concorrenza? Lo spudorato orgoglio manifestato dai promotori è assai volgare: la banale ragione per cui vince la colletta per il poliziotto è che a finanziarla è gente che ha più soldi di quegli altri. Essa viene a ribadire la diseguaglianza che è alla radice dell’incidente stesso. D’altronde, il suo scopo è esattamente quello. Non è una colletta vera, anche perché se lo fosse stata si sarebbe posta un tetto: una famiglia pasolinamente proletaria come quella di un poliziotto che davvero impiegasse la somma per costruirsi una villa al mare susciterebbe rancori giusto un po’ meno biliosi di quelli verso gli immigrati. Le condizioni per l’assegnazione delle somme sono in effetti circoscritte, e l’incertezza sull’effettivo beneficiario aveva indotto la prima piattaforma interpellata a non accoglierla. La cagnotte (colletta in francese) è nulla più (e nulla meno) che un messaggio comunicativo di odio. Premiando l’agente che spara a bruciapelo su una persona indesiderata (e stiamo parlando non di un clandestino con dei precedenti, ma di un immigrato di seconda generazione con un passato di episodi bagatellari, ma anche di passaggio scolastico, lavoro e sport) si mette sulla testa di quest’ultimo una taglia a posteriori.
Sappiamo bene cosa sarebbe accaduto se la vittima fosse stato un bianco appartenente alla media o alta borghesia: quegli stessi che ora hanno inviato i soldi chiederebbero, oltre allo scontato carcere (senza processo) per il poliziotto, le dimissioni del ministro dell’interno (non voglio neppure prendere in considerazione l’ipotesi delle parti invertite, e cioè che l’agente avesse origini arabe). I giornali di destra si domanderebbero se si può perdere la vita, così, per quella che al massimo era una bravata, con un ragionamento che senza vergogna viene tirato fuori anche quando si tratta di giustificare una violenza sessuale o persino un’azione degenerata in un omicidio. Stiamo parlando della Francia, ma lo stesso varrebbe per l’Italia, al netto del fatto che la polizia italiana non è violenta quanto quella francese, che in effetti grazie a una legge permissiva sull’uso delle armi da parte della polizia ha già colpito mortalmente 13 volte nel 2022, contro una volta in dieci anni della polizia tedesca (l’opinione pubblica italiana, in compenso, è meno attenta e più intorpidita). A maggior ragione vale, lo sappiamo bene, per gli Stati Uniti, dove la diseguaglianza etnico-sociale nell’agire della polizia è costitutiva e consolidata.
Possiamo veramente biasimare quelli che sono scesi in piazza distruggendo e dando fuoco a beni privati ma anche a beni comuni, dei quali essi stessi dovrebbero essere i fruitori? Il filosofo Thomas Hobbes fu al tempo stesso fautore dell’assolutismo monarchico e ispiratore del liberalismo politico con la sua teoria del contratto sociale. La ragione che spingeva i suoi contraenti a cedere la libertà al sovrano, nella sua teoria, era la salvezza della vita, messa in pericolo dentro la condizione di natura che precede lo stato: coerentemente, Hobbes avrebbe dovuto considerare legittimo il tirannicidio quando tale obiettivo (la salvezza della vita) era minacciato proprio dal sovrano. Del resto Hobbes era rigorosamente utilitarista: il contratto sociale non è una questione etica ma di convenienza, sia pure legata a un unico fine considerato supremo, l’autoconservazione. Ciononostante non fu lui a condurre il discorso alle sue conseguenze: sul tirannicidio si espressero favorevolmente John Milton e Benjamin Franklin. Spostando la stessa prospettiva su uno stato democratico: si può esigere il rispetto della legge da chi avverte che, nella sua applicazione concreta, la legge ritorna forza pura e minaccia la sua vita? Non parlo in questo caso né di terrorismo e rivoluzione: mi riferisco a tanti singoli individui, accomunati da questo stato di inferiorità giuridica che una parte della comunità considera normale, al punto da essere disposta non solo a perorarlo verbalmente ma a finanziarlo. In queste condizioni, in assenza del monarca, il rischio del tirannicidio grava su ciascuno di noi cittadini. È una considerazione descrittiva, non un’incitazione a delinquere. L’incitazione a delinquere è quel soffiare dalla destra sulle sommosse, qualcosa di analogo alla strategia della tensione ai tempi del terrorismo, l’intento neppure tanto velato che ci scappi il morto e per questa via la comunità degli eletti si compatti contro l’estraneo, che tale è rimasto anche quando è nato sullo stesso territorio.
Immagino la facile obiezione: ma se sono loro, gli immigrati, a minacciare la nostra sicurezza! A turbare la tranquillità di interi quartieri (inclusi alcuni tra quelli francesi sull’orlo della sommossa). Ad affollare le carceri, con una proporzione inusitata rispetto agli italiani! Ognuna di queste affermazioni potrebbe essere una prova ma anche il suo contrario: meriterebbero discorsi meno spicci e ignoranti, e però solo uno sciocco può negare che esista un problema di gestione dell’immigrazione con pesanti riflessi sulla sicurezza urbana. Ma a questo contrapponiamo una visione di ordine, o meglio visioni differenti di un ordine: nessuno pensa seriamente che quelle situazioni coincidano con una prospettiva dello stato, come dev’essere. Al contrario, la cagnotte è una proposta di governo: il poliziotto ti spara se non ti fermi al suo ordine, sempre che tu non sia bianco.
Uno dei grandi problemi della società capitalista consiste nel potere che il denaro ha di mercificare ogni cosa, corrodendo in tal modo le sue stesse fondamenta morali. Come se tutto si potesse comprare. La vicenda della colletta di Nanterre fa quasi peggio, e svela la capacità del dono di manifestare una terrificante carica di violenza. Come nelle lingue germaniche e in latino, dono suona sinonimo di veleno.
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