L’ultima ha scelto un modo eroico per scomparire, affondare per metà nell’inondazione di Venezia. Era quella di Walter, alle Zattere, che evocato così sembra una parabola dentro il Vecchio Testamento (anche se Walter non è tanto biblico). Ma un paio di edicolanti al giorno se la squagliano in punta di piedi e un brutto mattino si scopre che il chiosco è diventato l’ennesima carcassa di lamiera che nessuno vorrà, nemmeno per riconvertirla. Per qualche mese ci rimarrà attaccato sulla serranda un “vendesi”, necrologio presto ingiallito e infine sostituito, perchè già è brutto liquidare senza prendere una lira, figurarsi pagare in perpetuo l’occupazione del suolo pubblico.
Uno dei rumori che meno si sono smorzati della memoria d’infanzia è il ticchettio della freccia di destra (quattro insieme ancora non funzionavano; o forse era un lusso riservato alle grandi cilindrate). La macchina era obliqua, con le gomme sul marciapiede, perché sul Corso Vittorio Emanuele a Napoli non c’era spazio per parcheggiare, come adesso. Tornavamo alle nove di sera dalla sala di scherma del Maschio Angioino, dove mio padre insegnava e io per il momento ero l’allievo più scarso della palestra. Lui entrava nell’edicola, che era una di quelle in una stanza, e usciva con Il Monello, L’Intrepido, Lanciostory, Blitz, che avremmo lealmente conteso la sera. Con quell’abbuffata di fumetti perdonavo a mio padre di taccagnare sulle figurine dei calciatori, che per compensare la frustrazione mai avrei lesinato a mio figlio (però Lichsteiner gli impedì di completare quella a cui più si appassionò). Forse fu per quello che a dieci anni compii il vergognoso e unico furto della mia vita, frugando nella tasche di compagni che vi depositavano le figurine. Una volta insistetti per accompagnare mio padre, anche se in seguito avrei sempre prediletto rimanere all’ascolto di quel ticchettio, fantasticando che producesse la carta stampata. Mi stupii che il giornalaio portasse due occhiali scuri, come fosse cieco. Era già sospetto che tirasse fino a quell’ora di sera. E che apparecchiasse l’edicola come un tinello.
Avrei rivissuto l’ebbrezza della fermata notturna in edicola e nel compulsivo acquisto di riviste da solo, molti anni dopo, quando mi avviavo a rincasare dopo avere accompagnato la mia fidanzata ( i settimanali L’Espresso, Panorama, i mensili Nuovi Argomenti, L’Indice, Linea d’ombra, Mondoperaio…e poi fascicoli di qualsiasi cosa, I grandi temi della Medicina o la Storia della Letteratura francese, e i primi numeri, senza quasi distinzione). Una volta tale fu l’entusiasmo che nell’accostare all’edicola tagliai le strada a un’utilitaria dalla quale venne fuori un poliziotto in borghese che controllò i documenti. “ Ma Il bollo è scaduto” mi disse giustamente torvo. “Beh, mica poteva durare in eterno” gli risposi sorridendo trasognato verso la bancarella di esposizione più avanzata, dove faceva sfoggio L’Eternauta. Ogni volta cercavo di arrivare qualche minuto dopo per verificare se davvero l’edicola dietro Piazza Medaglie d’oro restava aperta tutta la notte.
L’Eternauta abitava un mondo post-apocalittico nel quale non c’era più spazio nemmeno per le edicole, e dunque almeno per questo aspetto simile a quello attuale. C’è però un mistero: anche se si sono stufati di comprare i giornali (insomma le edicole sono finite per colpa dei giornalisti e non dei giornalai), quelli che hanno almeno 45 anni si struggono nella loro nostalgia. E così capita che per Walter alle Zattere parta una raccolta di fondi che raggiunge 16.000 euro in due giorni. E che a Prato la Confesercenti abbia raccolto migliaia di firme per chiedere al Comune di sostenerle.
Di giornalai veramente incolti non ce n’erano perché il quotidiano, almeno, lo sfogliavano tutti (anche Focus). L’unica cosa parzialmente tabù, per loro, erano le riviste di enigmistica perché non è che puoi venderle con il cruciverba cominciato. Per lo più erano contenti quando uno comprava una barca di giornali, e non solo per profitto e alleggerimento del magazzino. Non come in autogrill: una volta che in un viaggio d’estate comprai sei o sette quotidiani, dietro il suo cappello da barista, l’edicolante infiltrato mi ringhiò: “Beato lei, che ha il tempo di leggere tutti questi giornali”. Nel film “Aprile” di Moretti c’è una bella scena in cui l’attore-regista con lo sguardo apparentemente nel vuoto enuncia i titoli di una serie di quotidiani. Poi la camera allarga, e si vede che li sta ordinando a un giornalaio.
Secondo un’opinione diffusa la soluzione sarebbe riconvertirli, farne degli sportelli pubblici. Alla riconversione in bazar, alla lunga fallimentare, erano già arrivati quando i giornali hanno preso a distribuire ogni sorta di gadget. “Tra poco ci manderanno anche la scarpe” si lamentava Gaetano, il mio storico edicolante di Torino, nella piazza della stazione. Aveva verso la svolta di marketing dell’editoria un’uggia che conservò sino alla pensione. “Cos’è, un’altra menata?” mi domandava, sinceramente incuriosito però, quando sfogliavo- vizio inemendabile- il primo numero di qualche nuovo magazine. Essendo molto distinto commerciava con un certo sprezzo i giornalini porno, che però contribuivano per una quota discreta al reddito mensile. Era così cortese che a un mio conoscente li prestava per una nottata. Le migliori edicole porno però erano alla stazione di Roma, pare tra le prime a erigere un confine cartonato o di compensato tra i lettori per bene e quelli che andavano a spulciare tra i porno, e a volte uscivano senza comprare e sistemandosi la patta. Da Gaetano quel tipo di target si serviva da sé, lasciava la banconota e spariva in un lampo. Una volta che accadde davanti a me, Gaetano disse: “Non ha idea, dottore, di quanta sia la gente a cui piacciono quelle grasse”.
I giornalai attraversano l’alba nello stesso momento in cui i pescatori arrivano sui litorali a riavvolgerla. E’ difficile dire se nei chioschi sia più nefasta per la salute l’umidità o la postura costretta. E chissà se questa tradizione del chiosco è esistita in tutti i paesi. I film classici americani testimoniano delle edicole, come dello strillone. Ma non ne è rimasta neppure la reliquia, e in diversi viaggi all’estero mi sono vanamente sbattuto per trovarne una. A Torino sono fortunato, perché ne sopravvivono fuori dai chioschi e in spazi grandi. La libreria Luxemburg è anche un’edicola internazionale che non teme confronti al mondo. A via Lagrange una donna brasiliana, che vanta una bella selezione di riviste, è diventata l’assistente sociale occulta di un sacco di persone anziane che si trattengono assai più del tempo di tirare fuori la moneta, e si lasciano dondolare dai ritmi di bossa nova che avvolgono la stanza. Pure i chioschi hanno sempre avuto i loro habitué, in piedi a discutere di calcio e politica, la domenica mattina o a tempo pieno raggiunta la pensione (gli/le acquirenti dei giornali gossip tendono a essere più sfuggenti). Erano zattere, insomma. Come dove stava Walter.
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