Nelle analisi che riguardano le generazioni giovanili si sottolinea per lo più che, per la prima volta dalla Rivoluzione Industriale, è probabile che i figli staranno economicamente peggio dei loro genitori.Quando ci si sofferma sul presente, in un modo o nell’altro, si indica la tipicità dei nostri ragazzi nell’essere degli sdraiati, dove il richiamo posturale si erge a metafora psicologica.
Si perde di vista, però, il dato più impressionate, che in fondo condiziona pesantemente gli altri: in Occidente, sovvertendo un ciclo che si era stabilizzato sin dagli inizi del XX secolo, i giovani sono socialmente più conservatori dei loro genitori.Lungi dall’immaginare alternative al sistema, essi costituiscono l’autentico propellente del modello capitalistico dominante.
Prima di entrare nel dettaglio di quest’affermazione, cerchiamo di individuare anagraficamente la categoria di cui parliamo. Etichettarla è già un problema: per questo ho cominciato parlando di “nostri ragazzi” o “figli” adottando neutralmente un dato generazionale. Ma sono Giovani? Adolescenti? O dobbiamo fare come la letteratura, che per ragioni commerciali, scompone e ricompone queste fasce (un po’ come i dominatori coloniali fecero nell’area del Medio Oriente) e coniare un termine tipo young adult, che è buono almeno dai 14 ai 21 anni? In effetti, in presenza di una forte mobilità dei paletti che vengono marcati per segnare l’ingresso nell’età adulta, come il lavoro e la famiglia (e per la perpetuazione della loro instabilità) diventa duro collocarli con precisione. Ma il range individuato per la letteratura young adult può andare abbastanza bene, con una certa flessibilità in avanti e anche all’indietro, includendo l’inizio dell’età teenager (espressione in decadenza). Per comodità espositiva, d’ora in poi li definirò semplicemente come giovani.
I giovani esistono, come gruppo sociale individuato, dalla Rivoluzione francese. Nell’Ottocento sono stati la carne da macello sui campi di battaglia ma i fermenti rivoluzionari li hanno imposti come soggetto collettivo progressivamente insofferente alle gerarchie esistenti, oltre che agli assetti geopolitici. Si sono così moltiplicate le strutture educative e pedagogiche, volte a incanalare lo straripare dell’energia. Ancora nell’Ottocento l’impazienza dei giovani era rivolta interamente al raggiungimento dei riti di iniziazione, e lo scopo finale del singolo era quello di essere accettato nel consesso virile (le donne giovani ovviamente ancora non lasciavano traccia) dell’adultità.
Nel 1904 lo psicologo G. Stanley Hall annunciò la scoperta dell’adolescente americano, un essere cerebralmente governato dalla logica degli opposti (iperattività/inerzia; sensibilità sociale/narcisismo; intuizione/infantilismo) e inaugurò il dibattito sul modo di affrontarlo: dare sfogo alla libertà e all’emancipazione o addestrarlo?
La fine della prima guerra mondiale ha riportato dalle trincee giovani con consapevolezze confuse ma convinti di poter operare per la trasformazione della società. Il futurismo fu il primo movimento culturale ad auspicare una giovanilizzazione, anche comportamentale, della società e il fascismo il movimento politico più lesto a interpretarne gli umori e canalizzarli.
Gli anni Cinquanta confermarono la turbolenza dell’età giovanile e segnarono la nascita delle prime “controculture” fondate su un antagonismo che da anagrafico debordava nel sociale. Gli anni Sessanta, più nettamente, avrebbero spinto i giovani borghesi verso due strade: o deformare i tratti della classe di appartenenza, con cattive e grottesche imitazioni del competitivo e ipocrita mondo adulto, o tradire la classe stessa, ergendosi a difensori delle fasce marginali della società. L’Italia fu uno dei paesi in cui si verificò il fenomeno descritto da Pasolini, quello dei giovani borghesi, che con la stessa arroganza che dai genitori ereditano e dei genitori contestano, si scagliano in nome del proletariato contro i figli del proletariato, che indossano una divisa. Non di rado il destino della “maturità” individuale era quello di rientrare nei ranghi, e assumersi le “proprie responsabilità” nel mondo adulto. Ma quel mondo adulto da ognuno di quegli scossoni era stato in qualche modo assestato e spogliato di alcuni dei suoi caratteri più odiosi. Quando anche si sgonfiava, la resistenza giovanile all’integrazione passiva era una verifica di legittimità del sistema sociale e un’iniezione di vitalità e idee. Anche sul piano artistico, i movimenti giovanili spazzavano via il conformismo di ciò che si era svuotato della sua originaria sincerità.
Inevitabilmente, la contestazione coincideva con una messa in discussione dell’ordine economico esistente e delle sue strutture portanti: ora lo stato, ora le grandi aziende. Non importa che i contenuti, altrettanto inevitabilmente, fossero spesso rozzi, irrealistici, smisurati. Il fermento giovanile sta all’equilibrio sociale come l’antitesi alla tesi nella dialettica hegeliana: l’idealismo che si trova nella sintesi finale dalle società trae nerbo ed energia dall’irruenza genuina dei giovani.
Qual è invece lo stato attuale? L’ordine dominante si identifica con il capitalismo della Silicon Valley. Esso rappresenta il perfezionamento assoluto del capitalismo liberista: globalizzazione, assenza di garanzie, finanziarizzazione dell’economia, distruzione di posti di lavoro, monopolio, controllo, rifiuto di contribuire alle finanze pubbliche. Per primo il capitalismo della Silicon Valley usa i suoi clienti come merce e anche come fattore di produzione, visto che i database raccolti sui nostri comportamenti fungono da nucleo per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il capitalismo della Silicon Valley ha accumulato così tante risorse da negare anche quell’altra prerogativa del capitalismo originario, la possibilità di intraprendere una strada d’impresa concorrendo con chi è già sul mercato: è sotto gli occhi di tutti che il destino delle nuove start up, a certi livelli, è quello di essere acquistati da uno dei colossi americani.
Di quell’ordine i giovani, gli adolescenti, o young adult sono i custodi più fedeli. Apple e Facebook, in particolare contano sulla devozione di quelle fasce d’età, e da esse traggono forza e inattaccabilità.
Non bisogna confondere Internet, o le tecnologie digitali nel loro insieme, con l’ordine economico, ma ormai anche politico, instaurato da colossi industriali che possono contare su una liquidità che mai nessuna azienda nella storia si è potuta sognare. Esiste una possibilità di sviluppo diverso, che non ricusa la tecnologia ma chiede alla Silicon Valley di dare conto delle proprie condotte al pari di qualsiasi altra azienda. E una necessità di discutere sulla proprietà dei dati, sul pluralismo dei nuovi media e sulla socializzazione delle infrastrutture digitali, ancor più di quanto si discuteva un tempo sulla proprietà dei mezzi di produzione e sul potere di persuasione dei media tradizionali.
I giovani vivono nella beata e acritica adorazione del sistema esistente, e sarebbero pronti a combattere semmai contro gli adulti che lo mettono in discussione. La rabbia per l’assenza di prospettive (che certo i loro padri hanno determinato) prende di solito la forma espressiva del rancoroso sfogo piccolo-borghese, che i loro nonni e bisnonni praticavano alla vigilia dei regimi totalitari. Nei rari casi in cui assume la dignità di un movimento collettivo mai si rivolge contro il capitalismo delle piattaforme, e si appella a un futuro partecipativo e collaborativo che, però, intanto coincide con l’arricchimento di pochissimi. Essi agiscono quale braccio esecutivo del nuovo grande capitale. Sulla scia di questa passività, anche la freschezza e il rinnovamento delle cultura giovanili sono piuttosto fiacchi.
C’è qualcosa di terrificante e innaturale nel figlio che è allineato al sistema più del padre, tanto più se quel sistema pare preludere a una vita molto più fragile ed eterodiretta. Per il bene dei nostri figli: ricordiamo loro che il mondo che gli lasciamo non devono affatto accettarlo come male noi lo abbiamo fatto, o malamente subito.
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