Zucchero e veleni nei biglietti d’auguri in una cena natalizia di tradizione ventennale

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Racconto di Natale

Finita la cena della vigilia in casa Fragasse, i biglietti li aprono tutti nello stesso momento, avidamente. Nascosti alle loro spalle possiamo leggerli, ma soltanto uno per volta.

Carol, piccola maledetta arpia, da quanto sbavavi vanamente per ottenere questo misero risultato? Ti sei presa la tua giornata di libera uscita. Ora puoi tornare a rintanarti nella tua gabbietta. Lo ricordo ancora, lo sguardo invidioso che ti bruciava le pupille il giorno del mio matrimonio con Jean-Claude, proseguiva quelli che mi stampavi dietro tutte le volte che, durante gli anni dell’università, mi portavo a letto ragazzi che tu non potevi nemmeno sognare ti rivolgessero la parola per più di un quarto d’ora. Lo ricordo perché l’ho incontrato tante volte nei vent’anni successivi, e ne ho provato la stessa pena. Anche Jean-Claude per te ha provato nulla più che pena. È di quella, sai, che hai approfittato? Oltre che di un momento di disagio familiare, di quelli che capitano quando la famiglia è un organismo gagliardamente vivente – e non una morfologia amebica come quella che componete tu e il povero, mite, noioso Gerard. Devo riconoscere che sei stata utile per risanarlo, il nostro organismo. Quando Jean-Claude è stato costretto dall’evidenza a confessare l’episodio di un mese fa, l’unico attimo di debolezza nella sua monogama dedizione, abbiamo trovato la forza di mettere in discussione certi atteggiamenti reciproci, che ci avevano resi più distanti, e siamo tornati più solidi che mai. È con questo spirito rigenerato che io e lui potremo affrontare il trasferimento a Londra, che l’eredità di mio padre a breve renderà possibile. Va bene, sei stata una delusione amicale. Ma ci pensi che fortuna? Sarebbe forse durato un attimo di più lo sbandamento di Jean-Claude se si fosse rivolto a una donna, dico a una donna non solo in senso tecnico. Probabilmente devo prendere questo suo tradimento come un atto di fedeltà. Sono intrisa di spirito natalizio, e quindi ti risparmio i suoi commenti sulla tua sessualità catatonica e il resoconto sulla tua adiposi della quale, non vedendoti nuda da parecchi anni, non ho avuto modo di seguire con occhio scientifico l’incremento. Ti sarà certamente gradito dunque il dono di questo voucher per dieci sedute al centro estetico Sans poids. Mi rendo conto che non è un santuario, ma considerato il fondo dal quale devi risalire nemmeno devi disperare che ne venga fuori qualcosa di buono. È un centro tanto all’avanguardia, sai? Fantasticavo che potrebbero anche stirarti fino a crescere un paio di centimetri, giusto quelli che ti consentirebbero di vedere qualche volta un film quando vai al cinema. Buon Natale

Helène

 

(è opportuna un’interruzione della lettura per presentare i partecipanti alla cena. Padroni di casa sono Jean-Claude ed Helène, con la loro figlia Violette e il nonno, padre di Helène e che fortunatamente stasera gode di una tregua dalla progressione del suo male. Gli ospiti sono Gerard e Carol, con i figli Nicolas e Sylvane).       

Caro Nicolas,

è la prima occasione in cui posso scrivere a te usando la parola figlio e mi scuserai la mano tremolante. Per quanto possa essere biasimevole che tu abbia ficcato il naso in un vecchio diario di tua madre (un tempo erano i ragazzi a doversi occupare di questa ingerenza da parte dei genitori!), è chiaro che il tuo choc è l’unico materiale esplosivo che a me e tua madre preme disinnescare, e ti confermo che sono pronto a ricevere altri pugni sul naso…possibilmente dopo che si sarà sgonfiato per quello che mi hai rifilato una settimana fa. Ho invece ammirato la tua maturità nel custodire il tuo doloroso (per ora: spero di aiutarti a dotarlo di un senso gioioso) segreto, la cui rivelazione del resto produrrebbe inutili sofferenze in persone che entrambi abbiamo care. Mi prendo questa sera la libertà di regalarti un vinile di Ginger Baker che ha acceso la mia gioventù, forse un po’ datato rispetto ai tuoi gusti, ma che pulsa di quell’energia percussiva che non è solo rullo di batteria (quale orgoglio genetico mi montò quattro anni fa scoprendo che avevi scelto il mio stesso strumento!) ma pure irruenta pulsione del desiderio. Ti voglio bene

Pap…scusa, per intanto ancora Jean-Claude

Violette,

credimi, questa storia è venuta fuori nel momento sbagliato. Torna in te, nell’ultimo periodo abbiamo solo frainteso la complicità che si è andata affinando durante l’amicizia che ci unisce praticamente da quando siamo nati. Tu dici che mi ha visto tirarmi indietro da un giorno all’altro, martedì scorso, e che non puoi credere che non sia accaduto qualcosa. Ti ripeto per la millesima volta che ti sbagli. Lo dici sempre anche tu che la comprensione procede sempre per illuminazioni. Non ti amo, Violette. È tutto. Non posso amarti. Piango mentre lo sto scrivendo, Violette. Non posso amarti. Guarda se la carta è ancora umida delle lacrime che colano sopra, Violette. Non posso amarti. Scusami se ti ho illuso. Non tormentarmi con i perché. Tra molto tempo forse potrò dirti qualcosa di più, ma intanto non posso amarti. Non ci sono altre ragazze. Non ci sono altri ragazzi. Non c’è niente. Non ci sono neppure più io, Violette. Non me ne volere. Avrei ancora più bisogno di prima del tuo bene, ma so che non devo chiedertelo, non adesso. Accetta quest’ultimo pegno, un album di foto di tutte le panchine della città dove ci siamo seduti vicini in questi anni. Sono trentasette, spero di non averne dimenticate nessuna. Ci ho messo una giornata intera, anche perché ho atteso – a volte a lungo, che rimanessero vuote. Vuote, Violette.

Nicolas

Caro nonno,

il mio regalo vero, lo sai, te lo consegnerò a parte. Ne sono in possesso da ieri, due grammi esatti di polverina bianca, e mi domandavo se gli inuit, nei ventidue modi che usano per identificare e distinguere quello che noi semplicemente chiamiamo bianco ne hanno uno per questo, il bianco di chi si è stancato e ha deciso che la sua vita è completata. Lo sai che il Parlamento olandese ha utilizzato nelle sue discussioni le stesse parole che mi hai detto tempo fa? Il diritto di considerare la propria vita completata! Visto che hai insistito per conoscere i dettagli ed essere certo che non mi mettessi nei guai, ti confermo che con questa associazione olandese, che si chiama De Jong, ha fatto tutto la mia amica Therèse, l’infermiera. Sono contenta che abbia bazzicato di più la nostra casa in questo periodo. Ti si è affezionata anche lei, sai? Comunque, riprendendo il discorso, con sei mesi di iscrizione all’associazione forniscono i farmaci che servono allo scopo. Quando lavorava all’estero, Therèse ha conosciuto una collega di Utrecht che è nel direttivo dell’associazione e questo l’ha facilitata per spiegare che serviva per una persona anziana, malata e consenziente e ha velocizzato la questione. Rileggo quello che sto scrivendo e mi sembra orribile la leggerezza con cui sto descrivendo la preparazione del tuo addio. Ma poi rievoco le tue grida per l’atrocità del dolore durante le crisi o il tuo sguardo smarrito quando un altro arto si rifiuta di rispondere al comando del cervello e comparo tutto questo con la serenità che leggo sul tuo volto da quando ho promesso che ti avrei aiutato. E poi, nonno, l’arte della leggerezza me l’hai insegnata tu, come tante altre cose. Sto provando a esercitarla in questi giorni per una brutta delusione d’amore…hai capito di chi parlo, no? Mentre leggi questo tuo biglietto te lo trovi a pochi metri! Mandagli una folgore sul cranio quando arriverai lassù, e smettila di dire che dopo non c’è proprio niente. Sono così convinta del contrario che per regalo ho pensato a queste pantofole, e spero che non troverai troppo frivola la sagoma della beccaccia sopra la punta. Ti riporterà ai tempi in cui la prendevi a colpi di pallini. Oh nonno, vorrei tanto farti ridere questa sera. Adesso mi sento stupida e vorrei cambiare regalo. Sono così confusa. Più tardi le pantofole le riprenderò io e le attaccherò per sempre al pavimento ai piedi della tua poltrona. Ti voglio bene.

Violette

Caro Nicolas,

non ho mica capito quanto tempo dovrebbe passare prima che arrivi questo Mago Stecchino. Ma proprio niente, niente nessuna parola? E tu non puoi almeno passare a salutarmi qualche notte? Mica sarà il tuo sorvegliante il Mago Stecchino, si riposerà ogni tanto e tu puoi rubargli qualche minuto i suoi incantesimi e bussarmi alla finestra. Io anche se sto sognando, sognerò che la spalanco e tu potrai entrare e svegliarmi. Umh, non sono sicura che quando torni con Mago Stecchino voglio davvero che tutti i miei pupazzi prendano vita e comincino a ballare per la casa. Il drago e il facocero, per dire, mi hanno sempre messo un po’ paura e mi sta benissimo che se ne stiano accucciati nell’ombra. Flap e Borbidone, loro sì, li vorrei portare anche a scuola a conoscere la maestra. Però non è che sia un buon carattere questo Mago Stecchino, che se uno fa la spia i suoi pupazzi resteranno stoffosi per sempre. E non ho capito bene neanche come l’hai conosciuto e perché ti abbia scelto come assistente. A dire il vero, mi piacerebbe che gli chiedessi se ha bisogno di un assistente per l’assistente. Io ci vengo volentieri, pure io a casa certe volte mi annoio, guarda che l’ho capito che te la fili con Mago Stecchino perché ti stufi da morire con papà e mamma, quando siamo a cena e quasi ficchi la testa nel piatto mi sembri pure tu un pupazzo con la testa di piatto capovolta. Senti, ho deciso che Borbidone lo faccio partire con te, l’ho sistemato in questo pacchetto, magari il Mago Stecchino lo prende in simpatia e me lo manda a dare vostre notizie. Però io vorrei anche che stesse vicino a te, specie quando fai la testa di piatto capovolta andrete sicuramente d’accordo. Tanti auguri dalla tua sorellina

Sylvane   

Cara Helène,

questo è l’ultimo Natale della mia vita, o meglio di quel che ne è rimasto. Non vi rientrano più l’odore dell’erba bagnata, il risuonare dei miei passi sopra i ciottoli, il bicchiere lentamente svuotato davanti al bancone di Alain, la ricerca in tasca delle monete davanti all’edicola, le rane sotto il viadotto. Rinchiuso in questa sala di attesa che un tempo era la mia casa provo interesse nel ricordare solo ciò che è minimo, e che un tempo giudicavo erroneamente insignificante. Ma c’è una questione importante che non è giusto tu apprenda soltanto quando sarò morto, per giunta dalla bigia voce di un notaio. Ho lasciato tutto il mio patrimonio in un fondo a beneficio di un ente che si occupa di orfani, e per evitare che tu perda tempo in beghe legali ti assicuro che la mia doppia cittadinanza anglo-francese impedisce che tu possa reclamare qualsiasi tipo di diritto. Non c’è molto da spiegare. Tu e tuo marito avete sempre contato troppo sui miei soldi, e questo non ha fatto il bene di nessuno, non dei nostri rapporti inariditisi, non della vostra capacità di badare a voi stessi e a vostra figlia. Questo non mi suscita nessun rancore ma penso che Violette abbia bisogno di un messaggio forte per continuare a brillare come quel raggio di sole che è. Nonostante la giovane età, sarà lei l’amministratrice di quel fondo che, non ti illudere, mai potrebbe destinare a uno scopo diverso (e del resto mai lo farebbe). Senza alcuna ironia ti regalo oggi questo piccolo barattolo con dei semi di papavero. Arrivato alla fine, mi è chiaro che la crescita della forma colorata di un fiore che si è seminato è una soddisfazione incomparabile, e che le famiglie perdono il loro orientamento quando dimenticano quest’istinto.

Tuo papà

Caro Jean-Claude,

come sai i biglietti non sono mai stati il mio forte. La difficoltà di scriverli è l’unico cruccio di questi quasi venti Natali che trascorriamo a casa dell’una o dell’altra famiglia, con la stessa sincera letizia di sempre. Anche se non è un tema festivo mi fa piacere rinnovarti l’eterno ringraziamento di mandare avanti la mia azienda. Ancora una volta siamo incappati in collaboratori disonesti e, anche se l’ammanco non è stato lieve, l’allontanamento della signora Galbier metterà fine all’emorragia e passerà questo periodo disgraziato. Buono è stato il tuo consiglio di non prenderla di petto ed estrometterla invece con un pretesto, ne avremmo certo ricavato grane senza recuperare nulla. Scusa se inciampo a parlate di lavoro anche oggi! Insomma tanti auguri e beviti alla mia salute queste rare annate di Chateau Margaux. Con affetto

Gerard

Jean-Claude,

è bello vedere che ti tieni giovane in ogni modo, senza perdere nessuna delle tue vecchie abitudini. Non è niente male l’amica di tua figlia. Trent’anni di meno, complimenti. Anche se farsela con un’infermiera non è un segno di sicurezza. Hai paura che ti si alzi la pressione e non ci sia nessuno a soccorrerti? Comunque ti avrei lasciato fare i tuoi porci comodi, se non fosse per quella brillante idea di tirare in mezzo me con Helène. La copertura perfetta, la vecchia e maltenuta amica, la ninfomane fallita. Avrei potuto sputtanarti subito, fregandomene delle tue suppliche. E avrei ben di peggio per sputtanarti che non il ventesimo adulterio della tua vita. Li so tracciare bene i movimenti bancari, non lo sapevi? Hai fatto mandare via quella poveretta, come era stato per quell’altro due anni fa. Ma sei tu che stai derubando da anni Gerard. Potrei tirare fuori le prove in quest’istante, così metteremmo fine a questa pagliacciata natalizia che si trascina da troppo tempo. Ma abbiamo una responsabilità, Jean-Claude. Ora che Nicolas sa tutto, dobbiamo dedicarci al suo benessere psichico. E non mi va che questo avvenga mentre tu sei con la testa e con il corpo da un’altra parte. Non ti sto chiedendo di tornare con me, Jean-Claude. Te lo sto ordinando. Quella che trovi avvolto in un ridicolo pacchetto saturo di renne disegnate è una cravatta, di Marinella ovviamente, perché per te vuoi sempre il meglio, e in fondo al cuore lo voglio anch’io. Ma naturalmente sei padrone di sospenderla al soffitto e stringertela al collo. Oppure di provare a lanciarmi uno sguardo che non mi piace, e lasciare che sganci la bomba, qui in mezzo a tutti, che racconti finalmente chi sei. Bastano poche parole, e come regalo le parole sono tanto ecologiche perché non richiedono alcun imballaggio. Bada a te Jean-Claude. Lunedì, come ben saprai, Gerard parte per una settimana, i ragazzi saranno fuori anche loro per qualche giorno, e tu sarai la sera da me. Magari con la cravatta nuova. Per oggi continuiamo pure la finzione.

Carol

Gerard affonda sul divano di Jean-Claude ed Helène osservando gli altri che sembrano tutti incapaci di staccare gli occhi dal biglietto d’auguri che hanno ricevuto, più attratti dal biglietto che dal dono. Ci deve essere stata un po’ di confusione nella divisione per la quale, in teoria, ciascuno dovrebbe avere un regalo da scartare. Deve esserci stata, pensa Gerard, perché lui non ha ricevuto nulla. E però non gli importa, gli basta che si rinnovi la ritualità di queste serate annuali, grazie alle quali scaccia il mesto ricordo dei natali di quando era ragazzo, funestati dal perenne disaccordo dei suoi genitori, quando l’unica gioia era uscire di nascosto quando tutti erano andati a dormire e percorrere con le spalle insaccate nel cappotto il viale innevato. Gerard adora che a questo punto della festa, dal giradischi, Have Yourself a Merry Little dia il cambio a Blue Christmas. Appoggia alle labbra un altro calice di Ruinart Blanc de Blancs e la felicità lo colma al punto che si sente finalmente in diritto di esprimere il desiderio di un dono pure per lui. Ha in mente esattamente quale, e siccome è un neofita delle richieste non sa bene come esprimerlo. E gli viene fuori in un modo curioso, perentorio. Un ordine, impartito mentre si alza di scatto, la voce stridula e gli occhi improvvisamente vitrei.

“E adesso facciamo che ognuno legge ad alta voce il suo biglietto d’auguri!”

(Racconto in forma provvisoria, in attesa di affinamento e passibile di essere sviluppato all’interno di una sceneggiatura teatrale)

Di |2021-02-05T17:53:10+01:0020 Dicembre 2019|Lo Storiopata|

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