Ci fu un periodo nel mondo in cui la gente dovette rimanere a casa per diverse settimane. Alcune famiglie ne approfittarono per coltivare il piacere di stare insieme o per occuparsi di faccende che avevano sempre rinviato. Ma c’erano anche tante famiglie che, passando, tutti, ogni giornata in casa dall’inizio alla fine, dovettero constatare che la loro abitazione era un po’ strettina. Avevano un bel dire i capi dei governi: “fatevi un campo di calcio in casa” oppure “insegnate ai vostri figli come piantare un albero di limoni nel giardino”. Se per esempio erano sei a vivere in sessanta metri e senza balconi, era più difficile divertirsi; e se poi i metri erano quaranta o anche meno, e magari i figli ancora di più, bisognava estrarre a sorte quello che avrebbe camminato per la prossima ora. Di solito, poi, queste case piccine hanno giusto l’essenziale, non c’è la sala della biblioteca o quella per servire il the delle quattro e trentacinque; e per quanto sia piacevole conversare e raccogliersi insieme, chi viveva in quelle case cominciò presto ad essere un po’ stufo. A dirla tutta, anche da certe ville con ottantasei camere risuonava talvolta un lamento sbadiglioso del ricchissimo proprietario che le abitava da solo: “Che noooia!”: specie adesso che, in quelle case non potevano venire a lavorare le signore che aiutavano a tenerle pulite, e quindi mancava pure il divertimento di vederle che stiravano una camicia. Ma torniamo alle case piccine. Un bel giorno a casa della famiglia Parecchietti, composta di un ingresso, una cucina con il tinello, una camera da letto, il bagno e abitata dai cinque Parecchietti, il piccolo Simone di quattro anni chiese al papà e alla mamma chi avesse pensato in che forma dovesse essere costruita.
“Non lo so” risposero” Certamente un architetto”.
“Che stupido. Puah! Che poca fantasia” sbottò Simone alzando le spalle. “Domattina ci penso io” aggiunse, mentre i genitori scuotevano la testa, non si sa bene se perche erano d’accordo, perché erano in disaccordo o perché vivevano insieme da così tempo che avevano preso questo stesso tic di scuotere la testa come un batterista.
Simone si alzava sempre prima di tutti al mattino, e di solito accendeva la televisione per vedere i cartoni animati. Stavolta invece aveva lavorato duro.
“Venite a vedere” prese per mano i genitori e le sorelline: “Ho pensato di ingrandire la casa. Da questa parte”. Ma i due genitori sbatterono il cranio contro la parete.
“Cosa dici Simone? La casa è sempre la stessa”.
“E’ che non avete fantasia! Perché le mie sorelline sono entrate senza problemi? Le vedete? No! E’ perché sono già dentro. Non hanno tutte queste resistenze degli adulti. Chiudete gli occhi” ordinò infine.
E davvero quando chiusero gli occhi, e si abbandonarono, i signori Gegè e Paolina Parecchietti poterono esplorare l’ampliamento della nuova casa.
“Ecco. Qui c’è la stanza-gioco. Non è una stanza dei giochi, è lei stessa il gioco. Vedete, la possiamo rotolare oppure spostare le pareti come se fossero i pedoni su una scacchiera”. “Fantastico” dovettero riconoscere il papà e la mamma, anche se a lei venne un po’ di nausea per via della rotazione.
“E qui c’è la stanza-struzzo. Accendendo l’interruttore mette la testa sotto la sabbia. Cioè si cala con il soffitto in giù fino al piano cantine, e non dovete fare nemmeno fatica per portare giù la spazzatura”.
“E’ incredibile” ripetevano estasiati i Parecchietti.
“Ecco, qui a sinistra- giù la testa che il muro è un po’ basso- c’è la stanza della ripetizione”. “E a cosa serve?” “Ecco qui a sinistra c’è la stanza della ripetizione”. “Capisco” tagliò corto il signor Parecchietti.
“E qui, salendo uno scalino, c’è la stanza delle fioriture. Come vedete è piena di oggetti. Lampade, orologi, forchette, vasi, aspirapolvere e così via. Ma avete notato cosa hanno di speciale? Fioriscono. Non so come mai sino ad oggi non si fosse mai pensato ad abbattere questa separazione tra la natura e gli oggetti che si producono” Simone aveva preso un tono un po’ saccente, ma non riusciva a nascondere il suo orgoglio “Guardate che bel fiore sta germogliando la lavastoviglie, che profumo…Oh, e chinatevi su quest’orologio antico. Li vedete i petali marroni? Quando la primavera sarà più avanzata ascolterete che ticchettio!”.
La visita andò avanti per ore, ma quel che è più sorprendente è che tutte le case, grazie agli architetti bambini, si stavano ingrandendo, e tutte in modo diverso. Vogliamo parlare della stanza gonfiabile della famiglia Strettozzi, opera della piccola Teresa, che diventava così grande da poter organizzare delle feste, e aveva solo quel fastidio che tutte le mattine dovevi pomparci l’aria perché la notte si afflosciava? O della gioia che provò la famiglia Quantisiamo quando la brava Clementina creò la stanza del perdifiato, che faceva trascorrere un sacco di tempo spassoso a cercare sotto i divani il fiato che avevano smarrito tutti quelli che c’avevano abitato, chissà quanti secoli prima? C’era in particolare una stanza che non mancava mai in questo lavoro di ristrutturazione. Era la stanza degli Animali a Sorpresa. A sorpresa nel senso che non sai se ti ci capitava un gatto, un coniglio o un cardellino; ma a volte nel senso che venivano fuori animali davvero sorprendenti, come il Tontostrello, il Pappaguro, l’Artigliope o il Nasopardo. E inevitabilmente la stessa domanda: “Mamma, papà, li possiamo tenere?”.
“Ma tesoro, se poi quando usciamo di nuovo la casa tornasse a rimpicciolirsi…dove li mettiamo?”. Che in effetti, finché si tratta di un coniglio ci si può anche stringere. Ma un Artigliope dove la vai a infilare?
“Vi prego! Vedrete che un posto per farla stare ve lo riesco a trovare”.
E alla fine, i bambini, vennero accontentati tutti.
Scrivi un commento