Decalogo della conversazione

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“Il più fecondo e naturale esercizio del nostro spirito è secondo me la conversazione. Ne trovo la pratica più dolce di qualsiasi altra azione della nostra vita; ed è la ragione per cui, se fossi forzato a scegliere, consentirei piuttosto di perdere la vista che l’udito o la parola

(Michel De Montaigne)

Capiterà, fra qualche millennio,che la nostra specie evoluta ascolti su qualche supporto una conversazione tra antenati considerandola un reperto analogo ai graffiti disegnati sui muri delle grotte nel Perigord? Che tanti ragazzi, a anche degli adulti, stiano seduti al tavolo ciascuno fissando il suo smartphone lo hanno già detto milioni di volte quelli che si ostinano a conversare, e quindi non stiamo a menarla anche qui.Rimane il fatto che, se una volta la conversazione era “arte” (così ancora la definiva Montaigne), presto rischia di divenire un’arrampicata, per quanto si sta allontanando dalle nostre abitudini, e quindi dalle nostre “competenze”. Per praticarla servirà presto un manuale. Del resto ne circolano da sempre, per lo più rivolti a quella frivola o utilitarista, galatei intrisi di suggerimenti tattici, che regolarmente incitano a blandire, moderare, arruffianare. Proviamo a varare un codice deontologico alternativo, immaginando cosa si debba tenere a mente perché dalla conversazione nasca qualcosa di buono per chi la sostiene.

  1. Zero conversazione uguale morte civica e interiore. Troppe conversazioni uguale rumore civico e interiore. Per godersi quelle che meritano troncare senza pietà quelle moleste.
  2. Fate finta che sia come quando si abbatte l’asticella nelle gare di salto in alto, al terzo “io” in quattro minuti si viene eliminati, se non si tratta di un interrogatorio o di un colloquio per l’assunzione. “Penso” prima dell’opinione è opportuno. “Come dico sempre” da evitare, a meno che non abbiate dato otto conferenze stampa sull’argomento o non stiate esortando di nuovo vostro figlio a non mettersi le dita nel naso.
  3. Se due gatti vicino a una scatoletta di tonno potessero parlare non andrebbero oltre “Buono”, rimanendo loro preclusi pensieri come “non è la stessa marca di ieri” oppure “sarebbe ora di finirla con questa strage di tonni”. I grandi uomini arrivano a parlare della tonnità. Facciamo una via di mezzo? Magari non proprio la tonnità, ma qualcosa di più elaborato che “buono” (o “miao”)?
  4. Chi lo dice che non si deve parlare diretto? E’ la conquista più bella del mondo, se non ci arrivate mai è come non arrivare alla pensione, e ogni volta che non ve lo potete permettere siete al di fuori della conversazione felice (ovviamente diretto non è per forza sinonimo di brusco, offensivo, aggressivo ecc.)
  5. La conversazione è un fenomeno fisico, la voce trasporta l’aria, costringe la bocca, vibra, risuona. Dunque si giova di qualche rafforzamento della fisicità, come minimo lo sguardo (spegnete quel cazzo di cellulare). Un tocco sulla spalla spinge la conversazione nel suo passaggio. La riduzione arbitraria della distanza, invece, è aggressiva.
  6. Certe espressioni (anglismi, giovanilismi, barocchismi) sono come le gonne corte per le donne di una certa età o la t-shirt aderente per gli uomini con la panza: dopo una certa età (o prima di una certa età) fanno ridere. Il turpiloquio funziona come Gillo Dorfles dice che funzioni il kitsch: non esistono gli oggetti kitsch ma le persone kitsch, che rendono kitsch anche gli oggetti. O anche, è come essere intonati oppure no nel canto. Alcuni usano il turpiloquio con una scelta di tempo che lo rende insostituibile ed espressivo. Sappiate misurare voi stessi o nel dubbio chiedete a (quegli stronzi dei) vostri amici.
  7. Poche cose sono odiose quanto fare una domanda a qualcuno e poi interromperlo cambiando argomento mentre quello sta rispondendo. Poche tanto gratificanti quanto sentirsi domandare qualcosa di sé che riprende una conversazione precedente.
  8. Cito ancora Montaigne: Quando mi si contraddice si sveglia la mia attenzione, non la mia collera; io mi faccio avanti verso colui che mi contraddice, che m’istruisce. Provate ad annotare tutte le volte che una conversazione ha mutato una vostra opinione non irrilevante. Se il quaderno rimane bianco, o quasi, semplicemente non avete mai conversato, che abbiate o meno aperto la bocca.
  9. Fate scattare un campanello interno quando dite qualcosa che non è vero o inutilmente competitivo verso gli interlocutori (tu dieci, io venti!) o esageratamente informativo dei vostri successi o gratuitamente denigratorio di assenti, e domandatevi: perché lo sto facendo? Non si deve conversare per ottenere l’approvazione degli altri: però per rendersi antipatici ci deve essere almeno una ragione. Grazie al campanello interno sarete in tempo a frenare, e a imparare qualcosa in più sulle vostre frustrazioni, e forse a sedarle o vincerle.
  10. Come quando si è a tavola così è nella conversazione: bisogna alzarsi con appetito. Tranne nelle conversazioni con chi ci sta più a cuore: mai rischiare, in quel caso, il rimpianto futuro del “avrei tanto voluto dirglielo ma non ho fatto in tempo”.

 

Poi ci sarebbero altre regolette da tenere a mente, tipo sul silenzio, quando non riguarda persone che hanno già una pratica rilassata di frequentazione: se trascorrono più di sei secondi forse è venuto il momento di baciarsi. Oppure i padroni di casa desiderano andare a dormire.

Di |2020-09-11T15:16:49+01:0014 Aprile 2017|Motori di ricerca interiore|

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