Alcune circostanze rendono la nostra un’epoca di esacerbata suscettibilità, e però condotte offensive e sentimenti offesi non rappresentano certo una novità. L’Iliade ce ne offre un vero trattato. A cominciare dal prequel: si offende la dea Eris per non essere stata invitata alle nozze di Teti e Peleo e lancia nella festa il pomo della discordia con sopra scritto «alla più bella»; per non offendere una tra Era, Atene e Afrodite che rivendicano il titolo, Zeus sbologna la patata (anzi, la mela) bollente al principe di Troia, Paride: se la piangesse lui a eleggere la vincitrice; e costui si tira addosso (peserà, oh se peserà!) l’eterna offesa delle due sconfitte; ci guadagna, con la sponsorizzazione di Afrodite, il ratto della bellissima Elena e causa la guerra di Troia. Qui, dopo che sono passati dieci anni dall’assedio, comincia l’Iliade. Sull’accampamento Apollo ha fatto piombare una pestilenza, offeso contro il capo acheo Agamennone che gli ha maltrattato il sacerdote Crise. Durante la conseguente adunata dell’esercito, Agamennone offende Achille, annunciando che, in cambio dell’amante da restituire (la figlia di Crise), prenderà Briseide, che era stata donata ad Achille: il quale, a stento trattenuto da Atena, lo copre di contumelie e si ritira nella tenda, offeso, e poi invoca la madre di Teti affinché sia vendicata l’onta seminando lutto tra gli Achei. Teti va a perorare tale soluzione da Zeus; che acconsente, sì, ma cercando di non farsi notare da Era, perché poi chi la tiene, si offenderebbe! (in effetti così accadrà). E questo è giusto il primo libro.
Shakespeare, in quella dissacrante parodia della grecità classica che è Troilo e Cressida, accentuò la permalosità dei suoi eroi e al tempo stesso la disinnescò parzialmente negli effetti, dipingendo i protagonisti come…
Brano estratto dal paragrafo “L’ira di Achille”, nel capitolo 1, “Le ragioni per cui ci si sente offesi”.
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