I laici sono a volte superficialmente tranchant quando si tratta di affermare la superiorità della loro posizione morale rispetto a quella di un religioso fervente, osservando che noi tuteliamo la sua libertà- consentendogli di conservare le sue credenze nel foro interiore- mentre lui non vorrebbe tutelare le nostre, imponendoci le sue credenze. Il punto è che tra le sue credenze rientra la convinzione che le nostre credenze nuocciano a lui, poiché attirano l’ira divina. È come se dicessimo a Greta Thurnberg: nessuno ti vieta di fare la tua raccolta differenziata ma lasciaci buttare la nostra plastica dove cazzo ci pare. Allo stesso modo, non si può liquidare l’acredine contro un film o un disegno obiettando al fedele: sei mica obbligato a vederli! Comparativamente, equivale all’invito a voltarci dall’altra parte quando si consuma una condotta che noi consideriamo criminale. E sarebbe una misera facezia contrapporre a tale zelo il paradosso logico di Sade: “La blasfemia non può essere di danno agli altri. Se Dio esiste è di danno a chi la commette. Se Dio non esiste non è di danno a nessuno”.
Anch’io penso che sia più ragionevole credere nell’interdipendenza dei comportamenti di consumo che in quella delle preghiere: ma se stiamo sulla quantità, la prima credenza ha un palmares ancora troppo breve. Quel che voglio dire è che la vita di molte persone nel mondo è seriamente intrecciata con la religione, e non è una cosa da poco separare in loro l’ambito pratico della devozione da quello interiore. Credo che di ciò lo stato debba tener conto nei principi di organizzazione della società multiculturali. Non sono convinto che il modo migliore per educare alla convivenza pacifica le religioni sia…
Brano estratto dal paragrafo “Blasfemia”, nel capitolo 7, “Ingiuria, satira, religione”.
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