Criticare qualcuno non è per forza malevolo, e nemmeno necessariamente oppositivo. Il maestro di tennis che sbotta: «No, non così!» sta solo facendo il suo mestiere e l’interesse dell’allievo che non riesce a mettere dentro il campo una palla di servizio. Eppure anche questo richiamo potrebbe offendere il giocatore: perché è stato fatto a voce troppo alta, perché al compagno che cade nello stesso errore sono stati fatti dei complimenti, perché il soggetto del rimprovero non ha capito che le regole sono differenti dal baseball e mandare la palla lontano di quaranta metri non è la cosa giusta da fare. Il problema è che nulla piace tanto agli esseri umani quanto essere lodati, e nulla tanto poco quanto sentirsi calare addosso la mannaia di una critica, per quanto educata e costruttiva possa essere.
Durante il Sessantotto, il movimento filocinese di Servire il Popolo teneva quotidianamente sedute collettive di autocritica nelle quali i militanti dovevano collaborare alla loro esecrazione pubblica da parte dei compagni dirigenti con lo scopo di annichilire il nucleo del loro individualismo borghese.
I rimproveri sono una forma particolare di giudizio, perché anche se riguardano un fatto accaduto hanno lo scopo edificante di ammaestrare per il futuro. Ogni rimprovero si sostanzia in un: «Guarda, se ricapita fai diverso». Ovviamente in alcuni casi non è possibile fare diverso. Se il rimprovero riguarda il modo in cui ho assistito i miei genitori che poi sono morti non ho modo di procurarmene un altro paio. Posso trarne insegnamento riguardo al modo di trattare l’umanità, ma è più probabile che intanto mi senta offeso perché mi sembra che la critica non cambi nulla nel mondo se non il mio stato d’animo. Non ne parliamo, poi, se me la rivolge mio fratello che se ne è sempre fregato dei genitori e da piccolo mi nascondeva i giocattoli. Quando riceviamo una critica la prima arma che l’istinto ci mette in mano è il pensiero: «Chi è questo per parlarti dall’alto? Non pensa a quello che ha fatto lui?» Come l’insulto, la critica è oggettivamente un dire male e come l’insulto sollecita l’impulso a ricambiare.
Ci sono tuttavia persone che sono pagate per criticarci, come il maestro di tennis, e altre che lo fanno spontaneamente con lo scopo di renderci migliori. La questione però è più complicata…
Brano estratto dal paragrafo “Critiche, elogi, verità e attribuzione di fama negativa”, nel capitolo 2, “Forme dell’offesa”.
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