Per quanto incredibile possa essere, ci siamo abituati a considerare normale la stabile violazione dell’anonimato nella sfera privata, e abbiamo preso a difendere l’anonimato nella sfera pubblica come regola generalizzata, e non come eccezione alla regola di apparire e rispondere delle proprie azioni. Certo, sotto alcune dittature la clandestinità sarà funzionale alla lotta politica: ma gli attivisti che hanno cambiato il destino storico di un paese sono quelli che sono passati per la galera, e i nemici in Rete che i regimi veramente temono sono i blogger che con nome e cognome li denunciano al mondo.
Anche rispetto alla militanza politica, dunque, una cosa è contrastare la sorveglianza sulle comunicazioni tra soggetti consenzienti, un’altra è legittimare che sia tutelata sempre la non identificabilità del mittente di una comunicazione rivolta al pubblico o a un soggetto non consenziente.
Lo spreco della libertà economica, quale bene sociale e non solo individuale, cominciò con Guizot che proclamava: «Arricchitevi»; lo spreco della libertà di pensiero nell’era digitale potrebbe oggi essere espresso con «Tirate palate di merda sul prossimo».
Ma perché dovremmo accettare un sistema di questo tipo solo perché tecnicamente è possibile per chiunque connettersi alla Rete?
Brano estratto dal paragrafo “Hate speech”, nel capitolo 9, “Offendersi in rete”.
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