Questa sezione raccoglie in primo luogo le “aperture” del sito che sono quasi sempre progetti a partecipazione collettiva esterna. Trovate inoltre le auto-presentazioni di altri siti web (oppure dei post trasposti dai medesimi). Sono quelli che, ritenendoli per qualche ragione interessanti, ho contattato con una proposta: scambiarsi uno spazio per una settimana, con la dichiarata utilità di farci conoscere dai reciproci pubblici e il più largo proposito di indirizzare i navigatori del web verso promotori culturali. Infine, può capitare di trovare in Open Space qualche intervento esterno non inquadrabile in altre sezioni e che però mi intrigava ospitare.
Contro i sedentari. Estratto da “Camminare” di Thoreau
Libri usati
O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
Io, che non riesco a rimanere nella mia stanza neppure un giorno senza ricoprirmi di ruggine, quando mi accade di poter predisporre la mia passeggiata soltanto alle undici, o alle quattro del pomeriggio, troppo tardi per riscattare quel giorno, nell’ora in cui le ombre notturne iniziano a fondersi con la luce del giorno, sento di aver commesso un peccato che devo espiare, e confesso che mi stupisce sempre la grande capacità di resistenza, l’insensibilità morale, per meglio dire, dei miei vicini, tutto il giorno reclusi, per settimane, per mesi e per anni, in botteghe e in uffici, come se ne facessero parte. Non so di che stoffa siano fatti, là seduti alle tre del pomeriggio, come se fossero le tre del mattino. Bonaparte parla del coraggio delle tre del mattino, ma esso non è nulla in confronto al coraggio che alle tre del pomeriggio si accampa con allegria e decisione dinanzi alla nostra volontà, che pure abbiamo tenuto a bada per tutta la mattina, prendendo per fame una guarnigione alla quale siamo legati da così forti vincoli di simpatia. Mi sorprende che all’incirca a quest’ora, o diciamo tra le quattro e le cinque del pomeriggio, troppo tardi per i giornali del mattino e troppo presto per quelli della sera, non si avverta per le strade un’esplosione generale che disperda ai quattro venti, per una boccata d’aria, una moltitudine di idee stantie e di fantasie coltivate tra quattro mura; in tal modo il male porrebbe rimedio a se stesso.
La terapia dello scrivere. Estratto da “Un apolide metafisico” di E.M. Cioran
Libri usati
O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
Scrivo per me stesso. Mi sono accorto che scrivere mi faceva bene. (…) Ebbene, per me lo scrivere è esattamente questo, è attenuare una sorta di pressione interiore, allentarla. Insomma, una terapia. (…)
Ma allora, si potrebbe dire, perché pubblicare? Glielo spiego: anche il fatto di pubblicare è molto importante, contrariamente a quel che si pensa. Per quale motivo? Perché una volta pubblicato il libro, le cose che hai espresso ti diventano estranee – non del tutto, ma in parte sì. Quindi l’alleggerimento sperato è ancora più grande. Non sei più tu. ti sei liberato di qualche cosa. È come nella vita, lo dicono tutti: uno che parla, che racconta i suoi dispiaceri, si libera. Proprio chi tiene tutto per sé, proprio il taciturno è quello che si ammazza, quello che crolla, o che magari commette un delitto. Mentre il fatto di parlare ti libera. E il fatto di scrivere pure. Sono cose molto ovvie, ma io le ho sperimentate. E quindi dico a tutti: pubblicate i vostri manoscritti, per male che vada, vi farà comunque bene. E tutte le ossessioni di cui parlate avranno per voi meno importanza.
E.M. Cioran, brano tratto dal libro-intervista “Un apolide metafisico”
Estratto da “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus
Libri usati
O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
LA SCHALEK (entra e si guarda intorno): Di tutti i problemi di questa guerra, quello che più mi interessa è il problema dell’ardimento personale. Prima della guerra ho meditato spesso sull’eroismo, giacché ho conosciuto parecchi uomini che giocavano d’azzardo con la vita: cowboy americani, pionieri delle giungle e delle foreste vergini, missionari del deserto. Ma il più delle volte erano anche figure d’eroi, coi muscoli tirati, scolpiti per così dire nel bronzo. Come sono diversi gli eroi che incontriamo oggi in questa guerra mondiale. È gente che ama le barzelletto più innocenti, che ha una tacita passione per la cioccolata con la panna e nello stesso tempo ha da raccontare esperienze tra le più straordinarie della storia dell’umanità. Eppure… l’ufficio stampa militare è installato su un vapore in disarmo ancorato in una baia. La sera si banchetta, ci si diverte a suon di musica; se chiudi gli occhi… quasi sogneresti di trovarti ancora a un’allegra serata del circolo ufficiali. Be’, sono curiosa di vedere se questo sottotenente di vascello… ah eccolo! (entra il sottotenente) Non ho molto tempo, sia breve. Lei è bombardiere, che sensazioni le dà questo fatto?
SOTTOTENENTE: Di solito incrociamo una mezz’oretta sulla costa nemica, sganciamo qualche bomba sugli obiettivi militari, guardiamo come esplode, fotografiamo lo spettacolo e poi via a casa.
LA SCHALEK: E mai stato in pericolo di morte?
SOTTOTENENTE: Sì.
LA SCHALEK: Che cosa ci ha provato?
SOTTOTENENTE: Che cosa ho provato?
LA SCHALEK (a parte): Mi squadra con una certa diffidenza, cerca di valutare, senza quasi rendersene conto, se sono in grado di comprendere certe crudezze. (a lui) Noi non combattenti ci siamo fatti in materia di coraggio e di viltà delle idee così stereotipate che l’ufficiale di fronte ha sempre paura di trovarci insensibili all’infinita gamma di sensazioni che in lui si alternano continuamente. Ho indovinato?
SOTTOTENENTE: Come? Lei non è combattente?
LA SCHALEK: Non si scandalizzi. Lei è un combattente e io voglio conoscere le sue sensazioni. Soprattutto, come si sente dopo?
SOTTOTENENTE: Sì, è strano. Mi sento come un re che di colpo è diventato uno straccione, voglio dire: ti senti quasi come un re quando ti libri in alto, irraggiungibile, su una città nemica. Quelli di sotto se ne stanno indifesi… in tua balìa. Nessuno può scappare. Nessuno può salvarsi o ripararsi. Ogni cosa è in tuo potere. C’è un che di maestoso, tutto il resto scompare, qualcosa di simile deve averlo provato Nerone.
(…)
LA SCHALEK: Non è quello un uomo semplice, un anonimo? Quello saprà dirmi con parole sue di cosa è fatta la psicologia della guerra. Il suo compito è tirare il cordino del mortaio – sembra una cosa semplice, eppure quali imprevedibili conseguenze, sia per il nemico tracotante, sia per la patria, sono legate a questo momento! Ne sarà consapevole? Sara spiritualmente all’altezza di questo compito? Certo, quelli che se ne stanno a casa, del cordino non sanno altro se non che rischia di venire a mancare, neppure immaginano quali eroiche possibilità di schiudano all’uomo semplice al fronte, che tira il cordino del mortaio (si rivolge al cannoniere) Mi dica dunque, quali sensazioni prova quando tira il cordino? (il cannoniere la guarda stupito) Che pensieri le vengono, allora? Guardi, lei è un uomo semplice, un anonimo, ma deve — (il cannoniere tace, sconcertato) Voglio dire, che cosa pensa quando spara col mortaio, deve pur pensare qualcosa, cosa pensa in quel momento?
CANNONIERE: (dopo una pausa in cui ha squadrato la Schalek da capo a piedi): Proprio niente!
LA SCHALEK (allontanandosi delusa): E questo sarebbe un uomo semplice! Io quest’uomo semplicemente non lo nomino! (procede lungo il fronte)
Altro che smart working. Estratto da “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline
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O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
“Non vi serviranno a nulla i vostri studi qui, ragazzo mio! Voi non siete venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che vi si comanderà di eseguire… Non abbiamo bisogno di immaginativi nell’officina. L’è di scimpanzè che abbiamo bisogno… Un consiglio ancora. Non parlate mai più della vostra intelligenza! Ci saranno altri che penseranno per voi! Tenetevelo per detto.”
Aveva ragione d’avvertirmi. Era meglio che sapessi come regolarmi sulle abitudini della casa. Di stupidaggini, n’avevo già abbastanza al mio attivo e per dieci anni almeno. Ci tenevo a passare ormai per un essere insignificante. Una volta rivestiti, fummo divisi in file che si strascicavano, per gruppi esistenti inviati di rinforzo verso quei luoghi da cui arrivava il fracasso enorme dei meccanismi. Tutto tremava nell’immenso edificio e anche noi, dai piedi all’orecchie posseduti da quel tremore, le scosse venivano dai vetri e dal pavimento e dalla ferraglia, vibrate dall’alto in basso. Si diventava macchine per forza e con tutta la propria carne ancor tremante in quel rumore di rabbia enorme che prendeva il didentro e il giro della testa e più in basso agitava le trippe e risaliva agli occhi in leggeri colpi precipitati, infiniti, continui. A misura che s’avanzava, perdevamo dei compagni. Si faceva loro un sorrisetto lasciandoli come se tutto quel che succedeva fosse pura cortesia. Non si poteva più né parlare né sentire. Ne rimanevano ogni volta tre o quattro intorno a una macchina.
Si resiste lo stesso, s’ha difficoltà a disgustarsi della propria sostanza, si vorrebbe poter arrestare tutto per poter riflettere e sentire in sé il cuore battere facilmente, ma ormai non è più possibile. Non può più finire. È come una catastrofe quell’infinita scatola d’acciaio e noi si gira dentro con le macchine e con la terra. Tutti insieme! E le mille rotelle e i piloni che non cascan mai e con essi dei rumori che vi schiacciano gli uni contro gli altri e certo così violenti che scatenano intorno a sé come delle specie di silenzi, che vi fanno un po’ di bene.
Ma solo i bambini? Estratto da “Lo sviluppo sociale del bambino” di Jean Piaget
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O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
“Il soggetto afferma sempre e non dimostra mai”
Un aspetto colpisce nel pensiero del bambino piccolo: il soggetto afferma sempre, e non dimostra mai. Notiamo d’altra parte che questa carenza della prova deriva naturalmente dai caratteri sociali della condotta in quell’età, cioè dall’egocentrismo concepito come mancanza di differenziazione fra il proprio punto di vista e quello degli altri. È infatti esclusivamente nei confronti degli altri che si è portati a cercare prove, mentre a sé si crede sempre subito, almeno sino a quando gli altri ci abbiano insegnato a discutere le obiezioni, e di conseguenza si sia interiorizzata tale condotta in quella forma di discussione interiore che è la riflessione. Quando si interrogano bambini al di sotto dei sette anni si è sempre colpiti dalla povertà delle loro prove, dalla loro incapacità a motivare le proprie affermazioni, e persino dalla difficoltà che provano nel ritrovare retrospettivamente come vi siano giunti. Allo stesso modo, dai quattro ai sette anni, il bambino non sa definire i concetti che usa, e si limita a indicare gli oggetti corrispondenti e a definirli secondo l’uso (“serve a”), ciò a causa della duplice influenza del finalismo e della difficoltà di giustificazione.
Jean Piaget, estratto da “Lo sviluppo sociale del bambino”
Credere per abitudine. Estratto da “Pensieri” di Blaise Pascal
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O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
“… perchè non bisogna disconoscerlo: noi siamo automatismo altrettanto che spirito. Strumento di persuasione non è solo la dimostrazione. Quante poche son le cose dimostrate. Le prove convincono solamente l’intelletto. L’abitudine genera le prove più efficaci e più credute: piega l’automa, il quale trascina l’intelletto senza che questo se ne renda conto. Su quali dimostrazioni riposa la nostra convinzione che domani tornerà a splendere il sole, o che un giorno moriremo? Eppure, c’è cosa più fermamente creduta? Dunque, è l’abitudine a persuadercene, ed è lei a fare tanti cristiani, a fare i turchi, i pagani, i mestieri, i soldati eccetera. Bisogna perciò ricorrere a essa quando l’intelletto abbia veduto dov’è la verità, al fine di abbeverarci e di impregnarci di questa credenza, che in ogni momento ci sfugge: perché averne sempre presenti le prove è troppo arduo. Bisogna acquisire una credenza più agevole, quella dell’abitudine: che senza violenza, senz’arte, senza argomentazioni, ci fa credere delle cose e inclina verso questa credenza tutte le nostre facoltà, di modo che la nostra anima ci cade naturalmente. Quando si crede soltanto per convinzione razionale, ma l’automa tende a credere l’opposto, non basta. Bisogna dunque che tutte e due le parti di noi stessi credano: l’intelletto per opera delle ragioni, che basta aver conosciute una volta: e l’automa, per mezzo dell’abitudine, e impedendogli di inclinare verso il contrario.”