Questa sezione raccoglie in primo luogo le “aperture” del sito che sono quasi sempre progetti a partecipazione collettiva esterna. Trovate inoltre le auto-presentazioni di altri siti web (oppure dei post trasposti dai medesimi). Sono quelli che, ritenendoli per qualche ragione interessanti, ho contattato con una proposta: scambiarsi uno spazio per una settimana, con la dichiarata utilità di farci conoscere dai reciproci pubblici e il più largo proposito di indirizzare i navigatori del web verso promotori culturali. Infine, può capitare di trovare in Open Space qualche intervento esterno non inquadrabile in altre sezioni e che però mi intrigava ospitare.
Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale
Libri usati
O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
Si agisce nel modo migliore se si separa a tal punto l’artista dall’opera sua, da non prenderlo altrettanto sul serio quanto la sua opera. In fin dei conti costui altro non è che una condizione preliminare della sua opera, il grembo materno, il terreno, talora il concio e lo sterco sul quale e dal quale essa cresce e quindi, nella maggior parte dei casi, qualcosa che si deve dimenticare se si vuol prendere diletto dell’opera in se stessa. L’indagine sull’origine di un’opera riguarda i fisiologi e i vivisettori dello spirito: mai e poi mai gli esteti, gli artisti! (…) Ci si deve guardare dalla confusione nella quale incappa troppo spesso l’artista, come se fosse lui stesso quel che egli può rappresentare, concepire, esprimere. Il fatto è che se egli fosse tutto questo, non potrebbe rappresentarlo, concepirlo, esprimerlo; se Omero fosse stato Achille e Goethe Faust, un Omero non avrebbe creato Achille e Goethe non avrebbe creato Faust.
Nietzsche, Genealogia della morale
Erasmo da Rotterdam, La felicità è quel che si crede
Libri usati
O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
Lasciarsi ingannare, dicono, è una sventura. Invece, la più grande delle sventure è non lasciarsi ingannare. Insensati sono quelli che pensano che la felicità umana dipenda dalle cose stesse, mentre invece tutto sta in come si pensa. Delle cose umane è così grande la varietà e l’oscurità che nulla si può conoscere chiaramente, e se pur qualcosa si può conoscere non di rado offusca la serenità della vita. L’animo umano è così formato che si lascia accalappiare più dal belletto che dalla verità. Volete vedere una prova chiara e lampante? Andate in chiesa: se si narra qualcosa di servi, tutti a sonnecchiare, sbadigliare, seccarsi; ma se quello strillone, ho detto male, quell’oratore, come di solito, comincia con una favoletta da vecchie, ecco che si destano, si raddrizzano, stanno a bocca aperta. Se si stratta poi di qualche bel santo leggendario e poetico, vedrete che costui è adorato molto più religiosamente di San Pietro, San Paolo e financo di Cristo.
Questa forma di felicità non costa molto davvero! Laddove le cose, anche se di scarso peso come la grammatica, a volte non si acquistano che con grande fatica. Invece un’idea a modo tuo è presto fatta, ma contribuisce alla felicità quanto le cose stesse o anche di più. Se uno per esempio si nutre di pesce in salamoia andato a male, mentre gli altri non ne potrebbero sopportare nemmeno il tanfo, e gli par di mangiare ambrosia, che cosa manca alla sua felicità? e se uno ha una moglie brutta da far paura, e al marito invece par che possa entrare in gara con Venere stessa, non è lo stesso che se fosse veramente bella?
Conosco uno che alla sua giovane sposa regalò delle gemme false, dandole a intendere che erano vere e genuine, e anche di valore singolare, straordinario. Cosa mancava alla donna che pasceva i suoi occhi e il suo cuore di quei vetri e non ne traeva minor gioia, cosa le mancava a tenere serbate presso di sé delle sciocchezzuole né più né meno di un tesoro straordinario? Il marito intanto non solo evitava la bella spesa, ma si spassava all’inganno della moglie, né per questo l’aveva meno obbligata che se le avesse fatto regali costosissimi. Credete che vi sia differenza fra coloro che, rinchiusi in un antro, come immaginò Platone, della varietà delle cose stanno ad ammirare le ombre e le immagini e quel sapiente il quale, uscito dall’antro, può guardare le cose nella loro realtà?
Brano tratto dal libro “Elogio della pazzia” di Erasmo da Rotterdam
Brano da Saggio sull’uomo di Ernst Cassirer
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O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
Ciò che caratterizza la mentalità primitiva non è la logica ma il suo sentimento generale della vita. Il primitivo non guarda la natura con gli stessi occhi del naturalista che vuole classificare ogni cosa per soddisfare una curiosità intellettuale. Non si avvicina ad essa con interesse puramente pragmatico e tecnico. Per lui, la natura non è un mero oggetto della conoscenza né il campo dove cercare di soddisfare le sue necessità pratiche immediate. Ci si è abituati a dividere la vita in due sfere, nella sfera dell’attività pratica e in quella dell’attività teoretica. Questa divisione ci ha fatto dimenticare che sotto all’una e all’altra vi è uno strato più profondo. Invece il primitivo non lo dimentica. Tutti i suoi pensieri e i suoi sentimenti hanno ancora radice in quel substrato originario. La sua visione della natura non è né teoretica né pratica; essa è una visione “simpatica”. Se non si tiene presente questo punto, l’accesso al mondo mitico ci resterà chiuso. La caratteristica fondamentale del mito non è uno speciale orientamento del pensiero o dell’immaginazione. Il mito scaturisce dall’emozione, per cui un fondo emotivo dà un particolare colore ad ogni sua creazione. Al primitivo non manca affatto la capacità di percepire le differenze empiriche fra le cose, ma nella sua concezione della natura e della vita tutte quelle differenze sono cancellate da un più vivo sentimento, da una insopprimibile solidarietà di vita. Il primitivo non si arroga una posizione unica e privilegiata nell’insieme della natura. La parentela di tutte le forme della vita sembra essere il presupposto generale del pensiero mitico.
Brano da “Saggio sull’uomo”, Ernst Cassirer, 1971
La pubertà permanente. Johan Huizinga
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O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
Nelle fasi primitive della civiltà una gran parte della vita sociale si esprimeva in forma di gioco, e cioè in una temporanea limitazione dell’umana condotta secondo norme liberamente riconosciute. Una rappresentazione stilizzata sostituisce di tanto in tanto l’aspirazione all’utile o all’appagamento (…).
Il carattere essenziale che vale per ogni gioco – sia esso culto, rappresentazione, gara o sagra – sta in ciò, che a un determinato istante esso finisce. Gli spettatori vanno a casa, gli attori depongono la maschera, la rappresentazione è finita. Ed ecco rivelarsi a questo punto la menzogna del nostro tempo: il gioco in certi casi non finisce mai, non è dunque un vero gioco. È avvenuta una vasta contaminazione di gioco e di serietà: le due sfere si confondono. Negli spettacoli che vogliono passare per seri c’è, nascosto e insidioso, un elemento di gioco. Il sedicente gioco, data l’eccessiva organizzazione tecnica e l’importanza cui assurge agli occhi di tutti, non può più affermarsi schiettamente come gioco, ha perduto i caratteri indispensabili di rapimento, di naturalezza, di giocondità. (…)
In infiniti uomini colti o incolti l’atteggiamento di gioco di fronte alla vita, che è proprio del fanciullo, diventa permanente. È uno stato d’animo universale che si potrebbe chiamare di permanente pubertà. Esso si distingue per una mancanza di sensibilità rispetto a quello che è conveniente e umano, per una mancanza di dignità personale, di rispetto verso gli altri e le altrui opinioni, per un’eccessiva concentrazione nella propria personalità. L’universale indebolimento del giudizio e della critica crea il suolo propizio a questa condizione. La massa si trova a suo perfetto agio in uno stato di semilibera esaltazione.
Meraviglia e preoccupa che il formarsi di un tale stato d’animo non solo sia preparato dallo scarso bisogno di giudizio personale, dall’azione livellatrice dell’organizzazione a gruppi, la quale fornisce un corredo di opinioni belle e pronte, dalla distrazione varia e superficiale messa continuamente alla nostra portata, ma venga provocato ed alimentato anche dal prodigioso sviluppo della tecnica.
Johan Huizinga, La crisi della civiltà, 1937
Foto tratta da pinkblog
Anche gli eroi passano di moda. William Shakespeare (da “Troilo e Cressida”)
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O che si dovrebbero usare. Brevi passi da sottolineare, a volte da percorrere.
(discorso rivolto da Ulisse ad Achille)
Signore, il tempo, enorme mostro di ingratitudine
ha una scarsella sulla schiena dove mette le elemosine
per dimenticarle. Quegli scarti sono le buone azioni passate,
che vengono consumate mentre si compiono e dimenticate
appena fatte. È la perseveranza, signor mio,
che mantiene lustro l’onore: avere fatto è rimanersene
appesi lì, fuori moda, come un’armatura arrugginita
in irrisoria monumentalità. Prendete subito la via che si offre
perché la gloria cammina su un sentiero così stretto
che di fronte ci si passa solo per uno. E tenete bene il sentiero,
perché l’emulazione ha mille figli
che si incalzano l’un l’altro. Se date il passaggio,
o sbandate dalla giusta direzione,
si avventano tutti come marea irrompente
e vi lasciano per ultimo;
oppure, come il cavallo generoso caduto in prima fila,
eccovi lì a far da terra battuta alla vile retroguardia,
travolto e calpestato: perché le loro azioni attuali,
quantunque inferiori alle passate vostre, fatalmente le superano;
il tempo infatti è un padrone di casa mondano
che stringe distrattamente la mano all’ospite che se ne va
e accoglie il nuovo arrivato spalancando le braccia
come per spiccare il volo: il benvenuto sorride sempre
e l’addio se ne va sospirando. Oh, la virtù non deve aspettarsi
ricompensa per ciò che era; perché bellezza, intelligenza, nobiltà di nascita,
vigoria fisica, merito conquistato in servizio,
amore, amicizia, carità, tutto è soggetto
all’invidioso e calunnioso tempo.
Nell’indole degli uomini c’è questo di comune:
che tutti impazziscono per gli articoli di nuova fabbricazione,
benché ricavati e imitati dai vecchi prodotti,
e lodano la polvere appena un po’ dorata
più dell’oro impolverato. L’occhio presente
apprezza l’oggetto presente: dunque non ti stupire,
tu uomo grande e completo, se i Greci cominciano
a idoleggiare Aiace; le cose in movimento
attirano l’occhio prima delle immobili.
Un tempo l’urlo era per te, e potrebbe
esserlo ancora, e può esserlo sempre,
se non ti sotterri vivo e non richiudi
la tua fama nella tua tenda, tu, le cui imprese gloriose
ancora di recente su questi campi
hanno suscitato
l’emulazione degli stessi Dei e trascinato il grande Marte
a prendere partito.