La nostra scuola pare in ritardo anche quando parla di innovazione. Proprio nel momento in cui il mondo comincia seriamente a interrogarsi sull’abuso delle tecnologie digitali e le stesse aziende introducono codici restrittivi sull’eccesso di connessione, il Ministero dell’Istruzione annuncia, fieramente, che la scuola deve stare al passo con i tempi e, revocando in sostanza la normativa precedente che vietava il cellulare nella classi scolastiche (anche ai professori) proclama che è ora di voltare pagina e di trattare i dispositivi come un’opportunità didattica. Lo fa con l’avallo di un comitato di esperti, varando al riguardo un decalogo.
Ora, da un comitato di esperti, specialmente nel campo dell’istruzione, ci si attenderebbe qualcosa in più di una serie di raccomandazioni generiche. Più precisamente, ci si aspetterebbe una premessa di taglio scientifico. Qualcosa come il richiamo preciso di studi sperimentali da cui risulti che le tecnologie digitali influiscono positivamente sull’apprendimento degli studenti, a qualsiasi livello di età. Specie perché, da quel poco che sappiamo, sembrerebbe il contrario.
Il decalogo del Miur, quindi, si limita a prendere una posizione ideologica così riassumibile: nella realtà di tutti i giorni il cellulare (in realtà si parla genericamente dei dispositivi: ma né è difficile capire dove si voglia andare a parare, né- si spera- al Miur ignorano che il tablet è in rapida decadenza rispetto allo smartphone) è nel quotidiano dei ragazzi e la scuola, per non rimanere tagliata fuori, non può ignorare questo dato di fatto, e anzi affrontarlo è l’unico modo di governarlo. In questo modo sollevando una barriera, altrettanto ideologica, da parte di chi eccepisce che alla scuola non tocca l’imitazione ma la correzione. Prestandosi ad ulteriori obiezioni: la dipendenza da cellulare è diventato un fenomeno clinico, era il caso di minare le radici dell’unico ambiente disintossicante? Non sarebbe preferibile, prima, preoccuparsi di dotare gli istituti di mezzi didattici appropriati? Non si sta trascurando che la perdita dell’attitudine alla scrittura a mano peggiora alcune facoltà cognitive, e che più fruttuoso sarebbe ripristinare corsi di calligrafia, e nemmeno tanto retrivo, visto che vanno di gran moda nella Silicon Valley? Non rischia la scuola di evaporare come luogo di socializzazione aggregante? Non è già sufficientemente dannoso che tanti studenti pensino già ora che con lo sforzo di pochi clic possono sfrondare il tempo che esige la fatica del sapere? Come si farà a tenere vigile la concentrazione una volta che gli smartphone saranno assurti a strumento didattico (almeno) di pari dignità rispetto al vocabolario di greco?
Sono tutti quesiti con una loro ragion d’essere, benché idonei a fungere da coperta pure per l’immobilismo di chi è refrattario a scostarsi dalle sue abitudini. Peraltro, smartphone in classe a parte, non sono pochi i docenti che già ora introducono nelle lezioni e nelle esercitazioni la coabitazione del digitale con la carta (qualcuno anche con un filo d’eccesso, dando per scontato che ogni studente disponga di una connessione veloce e persino di una stampante).
Così, se è vero che il decalogo e i suoi presupposti teorici trasudano superficialità e approssimazione, credo che sia obbligo deontologico degli insegnanti di trasformarlo davvero in “opportunità didattica” su uno sfondo più ampio di quello che potrebbe essere un pedestre aggiornamento metodologico e strumentale.
La strategia della negazione, del resto, ha premiato poco, se tanti docenti riconoscono che, pur in presenza del divieto, il cellulare entra tranquillamente in classe e rappresenta un fattore di distrazione.
L’acronimo PUA (Politica di Uso Accettabile) mi fa un po’ ridere e, visto che parliamo di comunicazione trovo che somigli troppo a PUAH! (oltre a essere sinonimo di piano urbanistico). Certamente, l’espressione “uso accettabile” contiene un sottinteso difensivo (suona come la “riduzione del danno”) che rovescia addosso ai suoi estensori la latente accusa di luddismo lanciata al corpo docente. Più che “accettabile” l’uso dovrebbe essere appropriato. Ed è proprio su questo punto che la scuola è chiamata a fare la sua parte, contribuendo a indurre nei ragazzi consapevolezze e senso di responsabilità.
Più interessante dell’uso didattico del cellulare è una didattica della tecnologie, che la presenza fisica dello smartphone rende più viva e comprensibile. Una simile didattica si estende alla conoscenza di quando e come il cellulare non si usa (non quando è il caso che guardi in faccia una persona, non quando ti sta parlando qualcuno, non interrompendo quello che stai facendo perché è arrivata una notifica, non mettendoti nella stessa condizione che se ti avessero impiantato un chip, non per leggere il riassunto di un libro che poi dici di aver letto, non se ti serve per schermare prove che hai paura di affrontare, non per costruire le tue sicurezze personali, non per offendere il prossimo, non per rendere visibile ciò che suggerirebbe riserbo, non per rinforzare i tuoi pregiudizi ecc.) o di come fare in modo che la vita on line abbia ricadute offline (tenere separate queste due sfere è illusorio perché sono strettamente intrecciate, praticamente nel novanta per cento delle attività: quel che conta è fare dell’on line una struttura ancellare dell’offline anziché il contrario. Prendi spunto dal digitale, perché ti accosta a cose che non avresti potuto raggiungere così velocemente, ma poi tocca, osserva dal vivo, assaggia!).
Soprattutto credo che pochi ragazzi abbiano la percezione concreta di come ogni azione sullo smartphone determini la cessione di tutti i loro dati per fini commerciali, la scelta da parte di un algoritmo di mostrare pagine confezionate su misura (commerciale) di ciascuno, l’arricchimento spropositato di pochi monopolisti, la soppressione sinaptica di alcune facoltà cognitive ( e se risaliamo alla radice produttiva anche di come lo stagno e il cobalto infettino bambini sottopagati). Naturalmente, lo smartphone non è solo questo. Ma questi difetti sono quanto, più di tutti e sopra ogni cosa, dovrebbero scorgere i nostri giovanissimi, a costo di eccedere nell’idealismo e nel rigore ingenuo. Trovo terrificante che i giovanissimi, coloro che, per età, dovrebbero essere più refrattari al compromesso, alla manipolazione e alla rimozione dei problemi sociali, cassino questi aspetti dalle loro discussioni e dai loro moti di contestazione, peraltro parecchio sedati della tecnologia (che per la prima volta, in occidente, i figli siano più conservatori dei padri ne avevo già scritto qui).
E alla fine mi sembra che il grave demerito della scuola, forse soddisfatta per convenienza di questa narcolessi adolescenziale, sia di non includere nel programma didattico lo studio degli effetti sociali della tecnologia, e poi pure ipocritamente lamentare che i giovani, risucchiati dalla tecnologia, si siano ritirati dal sociale e per informarsi si accontentino di quel che trovano su Wikipedia
Ecco, due parole sul punto, nel decalogo, sarebbero state apprezzabili.
Spero, però, che ci sia un profilo sotto il quale la limitazione del cellulare a “opportunità didattica” venga rispettato alla lettera. Dunque, obbligo di depositarlo e spegnerlo durante l’intervallo. Sta a vedere poi, che l’opportunità didattica più significativa diventa proprio questa.
Non ho nulla in contrario per quanto riguarda la nuova tecnologia se usata con moderazione. Il buon esempio deve partire dagli insegnanti. Il telefonino dovrebbe rimanere custodito in cartella, e utilizzato solo in caso di effettiva necessità. Il guaio è (per sentito dire)che, molto spesso, lo smartphone viene usato per copiare temi da internet e non c’è piu’ differenza tra ragazzi bravi e meno bravi.
Condivido il contenuto dell’articolo. La tecnologia è già presente, in alcune realtà più che in altre, nelle nostre scuole. Abbiamo laboratori multimediali, lim in classe e tablet per fare ricerche e scambiarci i contenuti. Assecondare troppo l’uso dello smartphone è secondo me deleterio; i ragazzi non capiscono più dove finisce lo svago, la chiacchera, il “far niente” e dove comincia l’impegno, il lavoro, insomma la scuola. Molte facoltà mentali sono addormentate e lo sforzo per imparare è ridotto al minimo quando con un click puoi trovare la risposta ad ogni domanda. È però una risposta effimera, che non entra nel bagaglio culturale della persona (poi senti dei giovani che non ricordano il periodo storico in cui si è sviluppato il nazismo). Infine, la “praticita” della cultura di internet ha reso molli e senza grinta i ragazzi di oggi; non hanno più voglia di sforzarsi a cercare risposte né a cercare di dare un senso alla propria vita, brancolano da nattina a sera con lo sguardo sullo smartphone a guardare le assurdità che i loro simili pubblicano.
Buongiorno.
Articolo molto interessante. Non riesco però a trovare alcun rimando diretto (link) al decalogo in questione. Sono io imbranata, il mio dispositivo, o non c’è?
Grazie!
Cordialmente
In effetti non c’è il link. Eccolo comunque: http://www.altalex.com/documents/leggi/2018/01/22/a-scuola-col-cellulare-il-decalogo-del-miur
Io penso che la tecnologia sia utile solo nella misura in cui è al nostro servizio non se ci rende schiavi.
Penso che purtroppo al ministero non sanno neppure come funziona una classe
Trovo interessante l’idea di inserire tra gli argomenti trattati nell’ambito scolastico lo studio degli effetti sociali dell’uso della tecnologia, del resto la metacognizione è una valida strategia didattica per raggiungere la consapevolezza dello sviluppo delle competenze.
La tecnologia e la creatività ” progettuale ” nelle attività extracurriculari non stanno migliorando la preparazione dei nostri alunni . Questi sono i fatti . Lungi da me il negare i benefici del computer e di strumenti simili , ma credo che gli alunni debbano innanzitutto usare il proprio cervello , non quello elettronico , esercitare la propria memoria , non quella di altri , scrivere e non digitare . ” Torniamo al passato e sarà un progresso ” diceva Giuseppe Verdi ” …Facciamo un paio di passi indietro .
Mi sento vecchia, il pensare all’entrata degli smartphone in classe non mi piace! Secondo me la scuola dovrebbe privilegiare altri tipi di comunicazioni! Sarebbe bello che i ragazzi lasciassero a casa o per lo meno in cartella, certi oggetti! Mi viene poi da pensare a quelle famiglie che non si possono permettere certe spese……..
Basta con questi telefonini! 🙁