La possibilità che Amazon rinunci a distribuire l’ultimo film di Woody Allen e le dichiarazioni di pentimento di alcune attrici per avere lavorato con lui segnano un pericoloso salto di qualità nella storia del post- Weinstein e del MeToo. Woody Allen non ha mai ammiccato ad alcuna attrice ma è un uomo che, nel contesto di uno sgradevole conflitto familiare con Mia Farrow,
è stato accusato 26 anni fa dalla figlia adottiva di sette anni di averla molestata: la vicenda venne fuori nella causa per l’affido, i servizi sociali ritennero che la bambina fosse stata influenzata dalla madre o dal contesto, una psicologa e il giudice dell’affido esclusero le molestie sessuali. Certo, Dylan fu lasciata in affido alla madre, qualificando il comportamento di Woody Allen comunque “inappropriato”: anche senza questa storia, credo, nessuno di noi si augurerebbe come genitore Woody Allen, la cui palese personalità disturbata è un elemento propulsore del suo genio creativo. Quanto che è accaduto, ora, non è che qualcuno, a distanza di trent’anni, abbia rivelato di essere stato molestato da Allen, ma che la stessa persona che l’aveva detto trent’anni fa, smentita in tribunale, lo abbia ripetuto oggi (se una novità c’è stata è che un fratello ha smentito lei). C’è un limite all’inversione dell’onere della prova, e anche alla decenza nel prendere le distanze, visto che le attrici che ora ricusano Allen erano pienamente a conoscenza di fatti che non sono cambiati. Così rischia davvero di diventare un nuovo maccartismo. Si potrebbe, entro certi limiti, accettarlo se costituisse davvero il dazio per un grande movimenti di emancipazione femminile. Sta diventando però una cosa diversa, come dimostra che entri in ballo Amazon: un diversivo mediatico gestito da maschi che si concluderà con una generalizzata condanna della credibilità femminile. Le donne stanno rischiando di preparare il cappio in cui infileranno il collo o quanto meno l’artiglio che tornerà impunemente a sfilare i loro slip.
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