Può anche avere un senso specificare se la didattica sia “in presenza” o “a distanza”, ma è difficile accettare che questa tassonomia binaria degradi sino alle feste, sentendosi in dovere di coniare il concetto di “feste in presenza”, come è stato nelle richieste per l’ultimo giorno di scuola. Una volta si diceva “passato il santo passata la festa”, oggi possiamo ancora sostenere che “assente il corpo mancata la festa”, e considerare i collegamenti a distanza un surrogato auspicabilmente temporaneo. Quando saremo diventati cyborg, cervelli in una vasca o dispersi superstiti di una catastrofe come ne “La strada” di Cormac McCarthy, produrremo gli adattamenti linguistici del caso. Intanto, circolari dei dirigenti didattici avvertono che nelle scuole elementari le mascherine non andranno impiegate se in bambini sono “in staticità”. Poteva andar peggio, potevano scrivere “in stand-by”. Ma certo questo crocevia tra verbale questurino anni settanta, gergo da laboratorio ingegneristico e dottrina tomistica sull’esistenza di Dio non è un buon segnale. Non solo è possibile che fra qualche decennio venga evocato quale esempio di una specie che si esprimeva “in imbecillità”. E’ che già nell’immediato pare uno stanco segno di resa, proprio dentro il luogo sociale che ha lo scopo di introdurre l’essere umano alla comprensione, alla critica e alla creazione del reale.
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