Geoff Dyer è un autore versatile che, come si può leggere, ha scritto fra l’altro di fotografia senza essere fotografo e di essere musica senza essere musicista. In particolare si è cimentato con i grandi personaggi della musica jazz. Qualche giorno fa intervistato da Le Monde, alla domanda su come sia il jazz di oggi ha risposto più o meno testualmente: “Non esiste più, è morto. Se andate nei locali suonano solo i vecchi”. Ora, pensare che il jazz, il quale attraversa uno stupefacente momento di vitalità e rinnovamento, sia finito è, per quanto discutibile, un’opinione. Dire che nei locali suonano i vecchi è una cosa differente. Significa non sapere proprio di cosa si sta parlando, non uscire di casa, non leggere un giornale. Non sarebbe così importante se la parabola di Dyer non fosse tristemente paradigmatica della più perniciosa, eppur così diffusa, malattia dell’intellettuale: quella di musealizzarsi. Soccombere alla pigrizia, divenire nulla più che la memoria di quel che fu, confondere la nostalgia personale per le cose che ha amato per l’insignificanza assoluta di quelle che le hanno seguite, non avere più voglia di studiare e documentarsi. Osservate con questa lente tanti dei nostri editorialisti culturali e domandatevi se, voi nel leggerli e loro nello scrivere, non stiate praticando l’incestuoso rito dell’abitudine.
Scrivi un commento