Il film “Loving”, tra una settimana nelle sale, affronta apertamente, ambientandolo nel 1967, il tema del matrimonio interrazziale. Pochi giorni fa il New York Timesha rilevato (citando i pochi esempi contrari)quanto scarna sia una simile produzione cinematograficae come i film mainstream ancora presuppongano l’anormalità dell’intimità interrazziale: le differenze etniche e culturali sono rappresentate quali tabù interiori o elementi predittivi di instabilità familiare.
“Loving” tappa un vuoto che quasi risale a “Indovina chi viene a cena”. Mi pare che il mondo plurale delle serie televisive americane, che pure non di rado fanno della disinibizione un punto di forza, rimanga anch’esso timido e conservatore (giusto una coppia a testa per “Lost” e “House of Cards”). Il NYT azzarda l’espressione “aparheid”. Fare ancora cinema militante non significa per forza elevare un argomento scottante a perno della trama: potrebbe bastare persino un film comico che, nella scelta delle situazioni, attinge tra quelle che le grettezze più persistenti considerano scabrose, proponendole come ordinarie. Pare che molti abbiano preso a fumare guardando Humprey Bogart, tant’è che le sigarette sono state messe al bando nei film dei giorni nostri. Siano i registi più coraggiosi nello sfidare fobie e convenzioni del pubblico.
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