Immaginate se Salvini chiamasse per telefono Nicola, un suo amico delle vacanze al mare, e gli dicesse: “Ciao Nicola, ho una bellissima notizia sulla mafia nigeriana e ho pensato di dartela per primo”. Tutti, spero, lo troverebbero assurdo. Curiosamente si trova invece normale che i messaggi politici, suoi come dei 5 Stelle, passino prioritariamente per Facebook. Sorvolando sull’opportunità dell’episodio ai fini delle indagini (in effetti chiamare Nicola sarebbe stato meno dannoso) i cittadini non sono obbligati a stare collegati ai social per ricevere, nello stesso momento degli altri, un’informazione di interesse pubblico. Così la comunicazione di governo diventa una primizia per i follower, come gli ospiti esclusivi per gli spettatori dei talk show televisivi. Nel celebrare la presa diretta tra i politici e i “cittadini” resa possibile dalla Rete si omette che i suoi naturali destinatari, in prima battuta, sono “quei” cittadini che sono già dalla tua parte. A questo serve simbolicamente il filtro delle agenzie di stampa o del Parlamento, a creare un attimo di stacco tra la struttura fattuale di una comunicazione e la sua sovrastruttura propagandistica.
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